Non vi sono arcani misteri e raffinati tessitori di strategie politiche alla base di questo agosto parlamentare italiano. Sono sorpreso dal consueto florilegio di teorie e analisi che appartengono più al campo dell’immaginazione che alla realtà, così evidente da lasciare spiazzati. Fatte quindi salve tutte le esegesi possibili di selfie, proclami, rave da discoteca nazionalpopolari e sindromi veramente troppo precoci di onnipotenza, la politica attuale è il riflesso, sebbene deviato dagli specchi un po’ obsoleti di Montecitorio, della realtà nazionale. Il popolo – anche se, ponendosi dalla parte del perenne scontento, non lo ammetterà mai – è perfettamente omogeneo ai suoi politici e viceversa. Politici e popolo, parti individuate per convenzione, sono letteralmente infestate da un morbo che è tanto endemico quanto proditoriamente tentatore: il dilettantismo. Anche qui uno spostamento epocale di significato. Dilettantismo un tempo era sinonimo di valori importanti, tra cui spicca la scelta di non monetizzare il talento, di cui il dilettante, diversamente da ora, era dotato. Oggi quel significato è perso nel vortice della insignificanza.
La caratteristica fondamentale della comunicazione pervasiva dei social è far immaginare a ognuno di poter essere tutto, e il suo contrario. Di poter rimediare a una esistenza frustrata e frustrante con dichiarazioni, finzioni, millanterie, violenza verbale inconcepibile, ma in particolare con l’attribuzione a se stessi di titoli e competenze che vivono solo nella limitata immaginazione di chi se li autoconcede, progettando pagine Facebook e post nella spericolata allucinazione che sia sufficiente scrivere per essere. Nascono così eserciti mai visti di politici, scienziati, artisti, demagoghi, scrittori, designer, opinionisti, medici, professionisti e pensatori, proiezione malata di altrettante realtà che così facendo si condannano alla perenne insussistenza. Identità che al posto di cercare la concretezza dell’esperienza e la fatica della realtà, evidentemente troppo impegnativa, per poi eventualmente comunicarla, preferiscono la scorciatoia di tastiere che sono diventate la vera droga del nostro tempo. Il fallimento è risultato inevitabile.
La politica nata da questi presupposti e da elettori che vivono questo tipo di realtà è identica. Ministri, capi di partito, segretari oggi sono in gran parte frutto della scorciatoia social. Il fatto è che la scorciatoia poi si scontra fatalmente con la concretezza, con le capacità vere, con la necessità di operare. Per fortuna, bisogna dire, anche se sembra la scelta del male minore. Da un certo punto di vista siamo in un momento di verità mai visto. Se un tempo i politici erano quelli che cercavano di intercettare le idee dell’elettorato, per proprio tornaconto, ma comunque con una operazione di mediazione culturale, oggi non hanno questo problema. Oggi sono esattamente come l’elettorato. L’elettorato di quelli convinti che scrivere un post sia fare la rivoluzione o che esprimere le stramberie più ridicole con un nickname altisonante sia equivalente a un titolo di laurea ad Harvard. L’agosto italiano 2019 si spiega così, in una banalità che lascia sconcertati, capace di far apparire i conigli come leoni e i leoni come vegetali . Capace anche, ed è un bene in questa teoria di eventi senza ideale, di mettere a nudo un vuoto cosmico che né agitati Rosari né cool parties da spiaggia, né selfie culinari, salvano dal confronto inesorabile con la storia dei giorni, tanto più feroce con chi pensa di poterla fermare al prezzo di politiche disumane e francamente anche poco intelligenti per il suo stesso progetto politico. Questo particolare tipo di dilettantismo, che investe tutta la persona e non solo i suoi comportamenti pubblici, porta inevitabilmente al raglio del somaro, da cui si evince che nonostante le finzioni, i voti, l’innegabile consenso, non siamo al cospetto di cavalli di razza (della politica).