Caro direttore,
chiamateli energumeni, non mariti o compagni quei violenti che picchiano la propria donna, arrivando persino ad ammazzarla. Chiamateli esseri abietti, capaci addirittura di maltrattare e uccidere gli inermi figlioletti di donne sfortunate che hanno avuto il solo torto di innamorarsi di loro, di credere e affidare cuore e anima a questi bruti che non sono assolutamente degni di appartenere al genere umano pensato e creato dal Signore. Un “compagno” di vita è tutta un’altra cosa! “Compagno” è un uomo che aiuta la propria donna, è vicino alla sua amata, specie nei momenti di maggiore bisogno; è un uomo che non confonde l’amore con il possesso, che non permette alle sozzure dell’odio di prevalere sulle ragioni del cuore. “Compagno” è colui che sa fare anche più di un passo indietro, quando è necessario, pur di non creare screzi e disaccordi. Il “compagno” non fa mai prevalere egoismo e volgarità, non conosce violenza, non prevarica, non si rende mai responsabile di atrocità assurde perché sa amare e proprio per questo capisce le ragioni dell’altra. Il “compagno” crea armonia, mai disagi!
Raffaele Pisani napoletano a Catania
Gentile direttore,
il 25 novembre abbiamo celebrato la Giornata contro la violenza sulle donne. La storia risale al 1960 quando nella Repubblica Dominicana il dittatore Rafael Leónidas Trujillo fece uccidere le tre sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, suore domenicane. Un triplice orrendo “femminicidio”. In Italia fu introdotta questa Giornata nel 1981 dall’allora presidente Sandro Pertini, una vita dedicata all’ideale per cui non può esserci vera libertà senza giustizia sociale e viceversa. Negli anni la consapevolezza e le iniziative per cercare di fermare questo fenomeno si sono moltiplicate, ma esso è tutt’altro che finito. Per questo, l’attuale presidente Sergio Mattarella ci ha chiamati a lottare e a fare memoria perché certi episodi non si verifichino più. Un pensiero e pressante incoraggiamento sono arrivati anche dal Santo Padre nel giorno dell’Udienza generale del mercoledì. Chiediamo aiuto a Caterina di Alessandria, Santa venerata dalle Chiese d’Occidente e d’Oriente, da cattolici e ortodossi, morta martire nei primi secoli dopo Cristo per mano dell’Imperatore Massimino Daia quando ancora le persecuzioni anti-cristiane erano feroci, e impegniamoci.
Marco Giraldi Prato
Gentile direttore,
un giorno per ricordare le violenze subite da tante donne, ma basta un simbolico giorno? Non passa infatti giorno che purtroppo non apprendiamo di nuovi fatti terribili commessi da uomini, partner o coniugi. E non possono esserci attenuanti, tantomeno invocando reazioni emotive. Un sentimento, pur intenso, che conduce a simili gesti è per forza di cose malato. La violenza è fisica, ma non solo. C’è quella dei femminicidi, c’è quella dei volti deturpati e c’è la violenza morale, quella che nega dignità, pari condizioni di convivenza, rispetto nella vita di coppia e familiare. E non è meno pregnante di quella fisica. È gran parte di quella “violenza invisibile” tra le mura domestiche che pur esiste, e che bisogna finalmente riconoscere per rompere una tremenda spirale. C’è un limite da riconoscere, oltre il quale un essere umano si rende incivile. E persino criminale.
Antonello Laiso Napoli
Caro direttore,
vorrei aggiungere anche la mia voce alle altre già echeggiate su “Avvenire” nella Giornata contro la violenza sulle donne. Da uomo e da sacerdote dico: donna, insegnaci ad amare! Perché amare non è riempire un vuoto o colmare distanze, ma ascoltare, essere capiti, protetti, nella purezza del cuore. Perché chi ama desidera, condivide, non possiede e vuole il bene dell’altro. E tu, uomo, china il tuo capo davanti alla maestosità di una donna e sappi che è nel suo grembo che Dio ti ha generato. don Luigi Trapelli Verona Caro direttore, niente succede per caso, dicono. Allora, perché per la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” è stato scelto il giorno in cui la Chiesa ricorda Caterina d’Alessandria? Proprio una ragazza di diciott’anni che subì ogni sorta di violenza, da quelle psicologiche, per costringerla a rinunciare alla propria fede e per sposare il potente di turno, a quelle fisiche, alla tortura, fino all’uccisione. In attesa che qualcuno me lo spieghi, a me piace ricordarla come mia patrona: patrona di chi porta il mio cognome perché, almeno nel Milanese e nelle province circostanti, discende da un trovatello salvato dalla ruota (in cui si deponevano i bambini per abbandonarli) dell’ex-convento di santa Caterina della Ruota (quella, munita di arpioni, con cui fu torturata). Ma anche dei Colombini, dei Casadei, dei Proietti, dei Degli Innocenti, degli Esposito, dei Diotallevi… Cordialmente
Mario Colombo
Sono molto contento, da uomo, di aver ricevuto tante lettere di uomini nella Giornata dedicata alla lotta contro le violenze sulle donne. E sono grato a questi nostri lettori per l’impegno e il rispetto non di maniera che in esse viene espresso. Penso e spero che tutti loro siano stati e sappiano ancora essere, nella carne o nello spirito, anche buoni padri. Credo anche che questo succeda più facilmente quando si è stati buoni figli, in ascolto della vita e dell’amore che si può imparare dai propri genitori. In famiglia, nella società e nelle nostre comunità religiose abbiamo bisogno che ce ne siano molti di uomini così, accanto e assieme alle donne.