Un lettore che scelse di fare obiezione al servizio militare ragiona su ciò che è più giusto fare in questo tempo terribile. Io dico che bisogna spendersi insieme e ognuno per la propria parte contro l’escalation. Accanto a papa Francesco
Caro direttore,in gioventù feci obiezione di coscienza al servizio militare (allora c’era l’obbligo di leva) e svolsi il mio servizio civile nella Caritas (impegnato nel Meridione terremotato). Non posso che essere pertanto dalla parte degli “obiettori di coscienza” di cui ha parlato “Avvenire”. La “carovana pacifista” è arrivata ancora una volta a Kiev, ma non potrà andare a Mosca e in altre città della Russia, per ovvie ragioni. Forse proprio lì sarebbe più necessaria una propaganda antimilitarista, visto che in fondo gli ucraini difendono i loro congiunti, le loro case, i loro campi, il loro Paese, mentre i russi, consapevolmente o meno, sono invasori (e, come abbiamo visto, alcuni di loro sono anche assassini di civili inermi, torturatori, stupratori). Mi chiedo pertanto perché i pacifisti, italiani ed europei, oltre a portare doverosi aiuti umanitari in Ucraina, e oltre a difendere gli obiettori ucraini (ma Gandhi durante la guerra anglo-boera invitava gli indiani, sì, a non prendere le armi, ma a servire comunque come ausiliari non armati nell’esercito di Sua Maestà britannica), non organizzino manifestazioni di protesta contro la guerra nelle piazze europee e davanti alle ambasciate russe. Mi chiedo infatti cosa sarebbe successo se anziché la Russia a invadere l’Ucraina, fossero stati gli Stati Uniti a invadere, poniamo, il Messico o Cuba… Fare manifestazioni intorno alle ambasciate russe servirà a poco, ma almeno gli obiettori russi e tutti i russi e le russe contrari alla guerra sentirebbero la nostra solidarietà.
Guido Campanini, Felino (Pr)
La solidarietà con chi subisce e rifiuta la guerra in Ucraina, in Russia e altrove, caro amico, si costruisce ovunque. Pure nelle piazze italiane e infatti c’è chi ci sta pensando e pensa a cose più grandi da fare insieme. A partire “dal basso”, quello che io chiamo – e non per gioco – il vero “alto” del nostro Paese in questo tempo di tristi e mediocri leadership politiche. Anche se è difficile, anche se organizzazioni e soldi e megafoni stanno (quasi) tutti dalla parte di chi accetta la «logica perversa e diabolica» (papa Francesco dixit) della guerra. La solidarietà si costruisce e si dimostra assumendosi le proprie responsabilità a cominciare da quella decisiva: stare accanto alle vittime (pure con le carovane nonviolente per Leopoli, Kiev e Odessa) e fare di tutto per fermare le armi. Lo si può fare col potere di cui si dispone, se si ha potere, ma anche col povero e creativo artigianato della pace alla portata di chi, in questa fase della vita d’Europa e del mondo, è stato sinora poco e male rappresentato nelle assemblee elettive ed è ben lontano dalle “stanze dei bottoni” dove ci si illude di governare un conflitto in continua, disastrosa escalation. Questa solidarietà popolare si è realizzata e si realizza in Italia, in Europa, in Ucraina e in Russia, per quanto si può e nella condizione data. E il premio Nobel della pace assegnato venerdì – sebbene non pochi sembrano far fatica a capirlo – lo ha ribadito come anch’io ho cercato di sottolineare nel mio editoriale di ieri ( tinyurl.com/segnale-monumentale ).
Per questo continuiamo a raccontare la grande obiezione alla guerra e ai giochi di potere che l’hanno fatta crescere e scoppiare in faccia all’Europa e sui corpi di chi ci sta soffrendo e morendo dentro. Anche dando sistematicamente spazio alla resistenza nonviolenta russa, tenace sebbene duramente repressa e silenziata dal regime di Vladimir Putin. E insieme, sin dall’inizio dell’attuale e terribile fase di questa tragedia, diamo volto e voce pure a tutti coloro che in Ucraina non si arrendono all’invasione e si sforzano di resistere alla regola del massacro. Ho un’ammirazione sconfinata per queste persone, ucraine e russe, e credo che siano le uniche ad aver ragione in uno scontro che, a Mosca come in Occidente, ha alla sua base tante sbandierate ragioni e pesanti (e sempre meno mascherati) interessi, nessuno di essi però in grado di giustificare pur in minimo grado una disumanità fatta, ancora una volta di stragi, di distruzioni, di violenze repellenti, di feroce negazione dell’altro. E c’è ancora chi se ne stupisce... Come se si fosse persuaso, anche per le dissimulazioni compiute per giustificare altre guerre, che gli scontri armati fossero ormai diventati davvero asettici e controllabilissimi videogiochi condotti in modo “chirurgico” e quasi mai funestati da tragici “effetti collaterali”. Sono perciò d’accordo con lei, bisogna far sentire di più e meglio il no alla guerra e all’ingiustizia, ingiustizia che la guerra sempre moltiplica. Anche perché ciò che viene fatto non trova grande risalto e dunque bisogna costringere a vedere anche chi non vuol guardare il “popolo che chiede negoziato e pace” ed è sicuro, dai propri scranni da politici e da opinionisti, che questo popolo non sia fatto di resistenti, ma di imbelli e di zimbelli (l’unica cosa vera è che si tratta letteralmente di imbelli, cioè di gente che non vuole e non fa guerra perché della guerra è stanco e disgustato, e obietta con forza alla violenza bellica e politica dei regimi di ogni latitudine e colore).
Non è facile, caro professor Campanini. Ma è necessario. Perché chi crede che la guerra colpo su colpo sino in fondo e sino alla “vittoria”, persino in questa guerra che nessuno può vincere, sia la soluzione, non smette di ripeterlo e ha grandi mezzi, anche mediatici, per dimostrare coi fatti la propria convinzione. E così anche noi italiani ed europei inviamo armi e “spariamo” (con le armi e con le parole) in risposta alle raffiche di Putin, ma i corpi nella guerra d’Ucraina ce li mettono solo i poveracci mandati al fronte da una parte e dall’altra, dalla parte di chi ha invaso e da quella di chi ora contrattacca. E guai se la follia in atto buttasse altri corpi in questa atroce fornace. Chi invece, come noi, crede che le armi debbano essere fermate subito, ha oggettivamente una difficoltà e una responsabilità più grandi. E, dunque, ineludibili. Perciò deve fare la propria parte, adesso. E non può lasciare solo il Papa, che con pensiero chiaro, pena infinita e lucida urgenza continua a implorare coloro che hanno potere di disarmare lo scontro e di fermare una corsa alla resa dei conti che, a parole, è già apocalittica. Spero anch’io che le tante iniziative di pace e di concreta solidarietà con le uniche vittime dirette della guerra oggi raggiungibili da Occidente, le nostre sorelle e i nostri fratelli d’Ucraina, tutte insieme diano corpo e corpi anche a una grande manifestazione per la pace. Un punto di ripartenza, diverso da quelli che ci hanno imposto in un mondo in cui la guerra si fa senza neanche più dirlo ai Parlamenti... Ogni sacrosanta obiezione alla “guerra russa” rafforza l’obiezione tortale alla guerra.