Rassegnarsi al conflitto? Arrendersi alla delusione e disertare le urne? Per quanto tempestosi siano i tempi, e sconcertante la campagna elettorale, non cediamo allo sconforto ed esercitiamo la nostra responsabilità. E poi reclamiamo una legge elettorale che ci rispetti...
Gentile direttore,
più guerra più morti, più morti più guerra. Più sanzioni meno gas, meno gas meno lavoro. Meno lavoro più povertà, più povertà più tensioni (e più elezioni...). La sequenza è semplificata, ma la sostanza è questa. E sembra che l’unica soluzione sia quella della rassegnazione. Rassegniamoci, italiani, la guerra non finirà, le armi continueranno a essere l’unico motivo per il quale l’energia dovrà e potrà essere sprecata. Rassegniamoci a risparmiare il gas e la luce, e rassegniamoci a perdere il lavoro, la vita, a cuocere la pasta senza fuoco, e tra non molto anche senza pasta, a battere il record mondiale di doccia veloce, a pagare la benzina e il gasolio più di qualsiasi altro Paese del mondo. Almeno fino a quando avremo la possibilità di mantenere un’auto o una moto. Rassegniamoci alle ingiunzioni di pagamento e alle elezioni anticipate. Quanto costa questa campagna elettorale? Non solo in termini economici, ma anche in termini motivazionali, in logica e pensiero, in senso di equità, etica e morale. Viene da chiedersi se davvero i vari candidati si ascoltano quando parlano e se, ammesso e non concesso che lo facciano, sono convinti di quello che dicono, che vorrebbero farci credere, che affermano di credere. Chi c’era non sa, chi sa non ammette, chi ammette distingue, e chi distingue non fa di conto e non conta. Rassegniamoci a dire che la democrazia è un bene da difendere a ogni costo, anche andando a votare di corsa senza altra necessità plausibile se non quella di mantenere un ceto politico senza morale.
Marco Parma
Caro direttore,
nel cuore d’agosto ho letto con grande interesse l’editoriale di Mauro Magatti, «Un’ecologia della parola» ( bit.ly/3RyxMen ), dove mi è sembrato si riflettessero chiaramente i miei punti di vista sul valore, purtroppo oramai immiserito, della parola. «...viviamo in mezzo a un vero e proprio inquinamento comunicativo... che cosa sono le fake news se non la traduzione digitale dell’uso cinico e strumentale delle parole?... Una malattia che si infiltra un po’ in tutte le democrazie». Da 50 anni esercito la professione medica e mi rendo sempre più conto di quanto sia invece importante l’uso della parola. Con la parola si può salvare o distruggere qualsiasi cosa, persino una vita umana. Ma siamo in campagna elettorale e il cittadino deve essere informato ed esprimere il suo parere, con convinzione. La profonda delusione sulle forme moderne di comunicazione è talmente grave che si potrebbe arrivare alla scelta elettorale di astenersi. È del tutto ingiustificata la non partecipazione al voto? La mia astensione potrebbe essere espressione di una forma di dissenso e di protesta contro l’attuale sistema comunicativo ed elettivo? Grazie
Salvatore Greco
Gentile direttore,
nel leggere l’intervista a Enrico Letta del 4 settembre scorso sono rimasto spiacevolmente sorpreso dal modo dell’intervistatore di porgergli una domanda, argomentando... «questa legge elettorale liberticida...». Mi pare una premessa non in linea con la sempre apprezzata correttezza del suo giornale. Esagero? Mi piacerebbe un suo commento. Buon lavoro e cordiali saluti.
Paolo Da Col
Capisco l’amarezza e trovo coinvolgente la diversa e convergente protesta dei lettori Parma e Greco. E mi rendo conto che l’aggettivo «liberticida» accanto alla legge in vigore per l’elezione di deputati e senatori della nostra Repubblica parlamentare possa aver scosso il lettore Da Col, specie se non ha seguito le preoccupazione e le argomentazioni che da tempo sviluppiamo sulla crisi (indotta) della rappresentanza e sugli strumenti (elettorali e aggregativi) di selezione della classe dirigente politica. Ma a loro tre, e a tutti gli altri amici lettori, vorrei dire con semplicità e chiarezza che questo è il momento di vedere chiaro e di non rinunciare alla partecipazione democratica. Per quanto tempestosi e bellicosi siano i tempi, allarmanti i bilanci familiari e le prospettive economiche e sociali generali, per quanto stonato e sconcertante possa apparire il confronto elettorale e deludenti le scelte di diversi leader politici e aspiranti parlamentari, per quanto mortificante risulti l’impossibilità per noi cittadini-elettori di scegliere per davvero i nostri rappresentanti, non siamo in una «notte in cui tutte le vacche sono grigie».
La situazione, come in altri cruciali frangenti della nostra storia comune, mi fa tornare in mente ancora una volta un verso di "La Storia", canzone scritta a metà degli anni Ottanta da Francesco De Gregori: «E poi ti dicono "Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera". Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera...». Oggi potremmo aggiungere una serie di altri verbi altrettanto disdicevoli: sbraitano, dilapidano, promettono e non mantengono, bombardano (anche solo a parole) "alla stessa maniera"... Eppure, non possiamo lasciarci disgustare dall’esercizio della nostra cittadinanza, rinchiuderci nel privato e lasciare che il mondo e l’Italia vadano avanti come decidono, altrove, i padroni del vapore... Finché, bene o male, in un Paese – in questo Paese – si vota c’è speranza. Quando si è spogliati o se si viene indotti a spogliarsi del proprio diritto di voto bisogna invece preoccuparsi. A mio parere, lo scrivo e lo dico da quasi un quarto di secolo, noi italiani stiamo scivolando lungo questa rischiosa china, ma abbiamo ancora la possibilità e la forza per raddrizzare il percorso.
Votiamo, perciò, anche stavolta. Votiamo, magari, con espressione resa celebre da Indro Montanelli, turandoci il naso. Ma facciamolo, scegliendo il meglio possibile secondo le nostre inclinazioni e tenendo cari i valori che sono alla base di quel sano spirito repubblicano nel quale si rispecchiano pienamente anche i princìpi di tantissimi di noi e certo quelli del cattolicesimo politico e sociale: senso del dovere e del limite, rispetto delle istituzioni e della dignità e libertà di ogni cittadino e di ogni comunità del nostro Paese, responsabilità e pulizia nell’uso delle risorse di tutti, equità, solidarietà, inclusione civile e valorizzazione lavorativa, costruzione della pace interna ed esterna... Non un libro dei sogni, ma la risposta agli incubi dell’incompetenza, della disuguaglianza, della marginalizzazione e dello scarto, della precarietà, della corruzione, della malavita, dell’egoismo individuale e di gruppo, della guerra.
Votiamo e il giorno dopo cominciamo – senza stancarci, senza lasciarci distrarre – a reclamare anche e soprattutto una legge elettorale rispettosa della nostra piena libertà di preferire chi eleggere, e dunque senza più liste bloccate e candidati solo "paracadutati" nei collegi uninominali per decisione di segretari e presidenti di partito. Quanto alla riorganizzazione di "case politiche" degne di questo nome (e perciò non più "macchine" su misura per il leader o il leaderino di turno), dovremmo aver capito che essa non verrà mai dall’alto, ma germinerà – se germinerà, e impegniamoci per far sì che accada – dal basso, cioè da movimenti davvero popolari e da chi sarà capace di animarli con ideali chiari, stando accanto e in ascolto della vita vera della gente vera.