Era frammentata la mappa di questo test amministrativo, molto parziale ma pur sempre il primo di un certo peso (a parte le regionali in Lombardia, Lazio e Friuli) a 8 mesi dalla svolta segnata dal centrodestra alle elezioni nazionali del settembre scorso. Atteso con un’ansia forse maggiore dal centrodestra, come primissima verifica del voto parlamentare, appunto, nonché come indicazione delle tendenze in atto. In Italia – è inevitabile – ogni elezione locale acquisisce in parte un significato “nazionale”. Accresciuto stavolta dal mancato, ulteriore smottamento in termini di affluenza che invece non c’è stato (è rimasta poco sotto il 60%).
Come per ogni primo turno, inoltre, qualsiasi discorso resta condizionato dall’esito dei ballottaggi, fra 14 giorni. La sensazione a fine giornata, comunque, è che non ci sia un “effetto valanga” per il centrodestra, che partiva da una condizione di vantaggio controllando già 8 dei tredici capoluoghi di provincia in cui si votava. Ora, in tre di queste città pare probabile il ballottaggio, il cui esito finale farà pendere chiaramente la bilancia da una parte piuttosto che da un’altra.
Ma, soprattutto, la “valanga” non c’è stata in quelle due città – Ancona e Brescia - alle quali la coalizione che oggi siede a Palazzo Chigi aveva assegnato un forte valore simbolico, nella speranza di “strapparle” dopo decenni di dominio al centrosinistra. Per esse si era spesa, col consueto piglio battagliero, la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che aveva capeggiato i comizi caratterizzati dalla parata di tutti i leader al gran completo. In particolare, i fari erano concentrati su Ancona (da sempre governata a sinistra), per due motivi: perché unico capoluogo di Regione in questa tornata e perché rappresentava un esame per quel “laboratorio Marche” che, a settembre 2020, con la vittoria del governatore Francesco Acquaroli in questa Regione una volta “rossa” aveva indicato la direzione in forte ascesa intrapresa poi da Fratelli d’Italia nell’ultimo biennio. La “spallata” direttamente al primo turno è fallita, anche se la forte ascesa in vista del ballottaggio rispetto a cinque anni fa ha comunque i connotati di una conferma parziale della sintonia col corpo elettorale. Conferma “guastata” però dall’indicazione di Brescia, l’altra città che dalle parti di via della Scrofa e dintorni si sperava di conquistare: la “Leonessa d’Italia” non ha però cambiato “colore”, pur all’interno di una Lombardia rimasta a febbraio al centrodestra, dando vita a un risultato che potrebbe anche riaprire delle frizioni tra Fdi e la Lega, che aveva fortemente voluto il candidato Rolfi.
E Brescia mantenuta e non persa rappresenta sull’altro fronte, sempre con un occhio ai prossimi ballottaggi (vedi il recente modello Udine), il fiore all’occhiello di Elly Schlein, l’altra leader donna che per queste amministrative si era comunque molto spesa, girando in lungo e in largo la penisola e raccogliendo discreti successi di piazza, malgrado in molte località fosse stata “obbligata” - vista la tempistica a ratificare candidature già concordate prima del suo avvento alla segreteria. E, tuttavia, la conferma proprio nella città cara al “popolare” Mino Martinazzoli, che pesca quindi anche nell’elettorato moderato, è la riprova che con questa componente la neo-leader dem dovrà dialogare sempre più per evitare di perdere consensi, stemperando tentazioni massimaliste o estremiste.
Passando invece ai “colori” delle alleanze (da costruire in chiave futura), le indicazioni sono contraddittorie per la leader “armocromista”: il “campo largo” con i 5 stelle è premiato a Teramo, ma è costretto ai “supplementari” a Pisa e a Brindisi, in quella Puglia che pure è terra di elezione dell’ex premier Giuseppe Conte.
È da sottolineare tuttavia che, come spesso capita nelle amministrative, è difficile tracciare una rappresentazione precisa perché il quadro va “depurato” delle tante liste civiche di cui non sempre è chiara l’identità: a volte sono espressioni “camuffate” dei partiti tradizionali, solo in qualche caso sono effettivamente basate su gruppi e leader locali.
Un’ultima indicazione generale che si può cogliere dal voto è, in ogni caso, quella di un certo grado di resistenza dei partiti e dei politici maggiori, più radicati nel territorio (vedi Scajola a Imperia, ma non solo), pur nella “fluidità” di un voto amministrativo così frastagliato. Se si sia o no già davanti anche a un’interruzione della “luna di miele” del centrodestra con gli elettori italiani, è ancora presto per dirlo. Per avere questa indicazione occorrerà attendere altre prove. Legate alla gestione dei dossier più delicati, dagli sviluppi della guerra alla partita delle riforme costituzionali e alle delicate sfide economiche, a partire dalla riforma fiscale e dal taglio delle tasse. Per la prova definitiva, tutto è rimandato al banco di prova delle Europee 2024, classico spartiacque della legislatura.