Le risposte politiche che deve l'Europa: ridare vitalità all'integrazione
domenica 23 giugno 2024

I partiti si stanno confrontando con i risultati delle elezioni del 9 giugno. E a Bruxelles si sta negoziando sulla maggioranza che sosterrà la prossima commissione. A partire dalla presidenza, per la quale, ad oggi, rimane favorita Ursula von der Leyen. Un passaggio obbligato della ritualità democratica, in vista della costruzione dei nuovi equilibri politici che reggeranno i prossimi anni dell’Unione. Utile, a condizione di non dimenticare quanto il voto ha lasciato intendere: il progetto europeo continua a godere di un certo consenso, ma il malcontento cresce, e va ascoltato e ricomposto.

Il nuovo Parlamento e la prossima Commissione hanno quindi un mandato molto chiaro: delineare con chiarezza ed efficacia il modo in cui l’Europa vuole porsi in questi anni di profonda transizione.

Concretamente ciò significa rispondere a una serie di domande assai impegnative.

Prima di tutto, in un momento di forte tensione - che ha nella crisi Ucraina uno dei punti focali - qual è il posizionamento internazionale della Ue? E soprattutto quale è il ruolo che l’Europa può giocare nel costruire le condizioni di una pace giusta e duratura?

In secondo luogo, considerato che gli ultimi dati ci dicono che in Europa si contano 95 milioni di poveri (21% della popolazione), come la Ue si pone rispetto al tema delle crescenti disuguaglianze (sociali, generazionali, territoriali)? In terzo luogo, si ripete ogni giorno che stiamo entrando nel tempo dell’intelligenza artificiale. L’Europa si è già mossa con alcune iniziative importanti. Ma qual è l’idea di società ed economia che si vuole sviluppare nella transizione digitale? E quali politiche si vogliono seguire per intrecciare innovazione tecnologica e sostenibilità (ambientale e sociale)?

E infine, come rendere compatibili i principi della dignità della persona e dei diritti individuali - tipici della nostra cultura - con le politiche migratorie e la pressione umanitaria che cresce su tutte le nostre frontiere esterne? Si tratta di domande molto importanti. Che richiedono risposte molto concrete. Ma soprattutto una cornice di fondo, una idea di società, una direzione verso cui muoversi. Tutte sfide che non potranno essere affrontate senza un richiamo al progetto originario di un’Europa come continente della pace e della giustizia. Un richiamo che non può essere retorico.

Perché - come dimostrano gli ultimi trent’anni - il progetto europeo non avanza semplicemente grazie all’integrazione economica e alle pur utili direttive, che rischiano però sempre di avere un sapore burocratico e astratto. Per costruire un’Europa coesa è necessario definire la sua missione del mondo, il senso del suo voler essere unita. Prendendo consapevolezza che né i partiti più consolidati (popolari e socialdemocratici) né le nuove destre sono al momento in grado di dare risposte soddisfacenti alle attese e alle paure dei cittadini europei.

Molti considerano l’Europa un continente ormai in declino. Irrimediabilmente vecchio. Se si vuole sfuggire a questo destino, l’unica via è restituire vitalità creativa al progetto europeo, risolvendo in modo originale il nodo che non riusciamo a sciogliere (che é poi quello che è all’origine della crisi nelle relazioni internazionali planetarie): come è possibile realizzare un’unità tra diversi? Che caratteri deve avere una nuova forma istituzionale che contempli diversi livelli di sovranità (europea nazionale regionale) senza per questo entrare in contraddizione con se stessa? Come tenere insieme il bisogno di essere “grandi” l’Europa Unita - con la valorizzazione delle tradizioni nazionali e locali che costituiscono il tessuto pluralistico vecchio continente? E come può quest’idea non ridursi a un’impalcatura burocratica fredda e distante dal destino delle persone e delle comunità?

La risposta a questa interrogativi non può che essere politica. Il che, molto concretamente, significa che è venuto il momento di mettere mano a quei problemi dell’assetto istituzionale dell’Unione che ne impediscono l’evoluzione. A cominciare dal diritto di veto, che di fatto azzoppa il progetto europeo e lo blocca nel gioco degli interessi contrapposti. È a partire da qui che sarà poi possibile poi sciogliere tutti gli altri nodi: la politica estera e migratoria, la creazione di una difesa comune, l’unione fiscale. Tutti passaggi che il momento storico rende necessari e urgenti. Al punto in cui siamo, non è più possibile sfuggire alla questione di fondo: o l’Europa sarà (innovativamente) politica oppure non sarà.

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