Le parole e i fatti. Le polemiche e gli impegni. Il 23 maggio, anniversario dell’attentato di Capaci, è stato anche questo. Purtroppo o per fortuna. Memoria, innanzitutto. Come quella che ha scelto di fare il presidente della Cei, Matteo Zuppi, nell’Introduzione all’assemblea dei vescovi, dedicando al tema delle mafie un intero e intenso capitolo. Memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Il cardinale fa tutti i nomi, non si limita al troppo ascoltato «e gli uomini della scorta», perché la memoria è vera solo se completa. Così Zuppi ricorda anche un altro anniversario, quello dell’«urlo del cuore» di Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993 nella Valle dei templi ad Agrigento. Quel «Convertitevi! Verrà un giorno il giu-dizio di Dio!» che segnò uno spartiacque per la Chiesa e per i mafiosi. Ricorda poi il prima e il dopo. Quell’incontro che il “grande Papa” aveva avuto coi genitori di Rosario Livatino, il “piccolo giudice”, che «ha mostrato – sottolinea Zuppi – come si possa cambiare la storia a mani nude e con la giustizia». Quella giustizia che Livatino non separava mai dalla carità. Parole importanti, soprattutto in una fase molto difficile per la magistratura. Ma c’è anche un dopo, la reazione delle mafie alle parole di Wojtyla, «quando la cattedrale del Papa fu colpita dal terrorismo, fatto unico nella storia, e l’uccisione di don Pino Puglisi, prete che aveva fatto dell’educazione dei giovani il terreno di liberazione dalla mafia».
Terrorismo, dice il Cardinale, parola che raccoglie in sé la strategia stragista di “cosa nostra” di allora, ma anche presenze e finalità esterne, come a fatica e in silenzio bravi magistrati stanno provando a far emergere. Per quella bomba del 27 luglio 1993, per quella nello stesso giorno a via Palestro a Milano, per quella che ricorderemo tra due giorni, del 27 maggio in via dei Georgofili a Firenze. Poi l’uccisione di 3P, prete dei giovani, prete dei diritti, prete che educa liberando, profondamente prete. Livatino e Puglisi, giudice e sacerdote, senza aggettivi, tantomeno l’abusato e spesso comodo “antimafia”. Esempi normali, soprattutto oggi, e qui il ricordo di Zuppi diventa analisi. Perché, avverte, «le mafie non sono scomparse oggi, anzi si sono estese nel Centro-Nord, dove prosperano largamente anche con metodi e volti in parte mutati».
Li conosce bene don Matteo, parroco e vescovo di Roma, città dove le mafie, importate e locali, trafficano, investono, uccidono. Così come li conosce bene l’arcivescovo di Bologna, nella regione che secondo i magistrati è da tempo «un distretto di mafia». È la mafia malleabile e sostenibile, con la quale si pensa di poter convivere e magari fare affari. Zuppi ha incrociato questi fenomeni mafiosi e conosce bene quei troppi negazionismi che nella società e anche nella Chiesa hanno rallentato una reale presa di coscienza e la creazione di anticorpi. Ancor più indispensabili in una fase di emergenza come quella che stiamo vivendo, dalla pandemia alla crisi energetica, e non ultima la distruttiva alluvione proprio in Emilia Romagna. E la storia ci insegna che le mafie si arricchiscono e si rafforzano proprio con le emergenze. Dunque, è il forte appello del Presidente della Cei, «c’è bisogno di una coscienza più ampia del pericolo». Quella che segue è una perfetta fotografia della mafia di oggi, e di cosa la favorisca. «Dove il tessuto sociale è slabbrato, lo Stato lontano, la gente sola, disperata, povera, la scuola indebolita, c’è terreno di crescita per le mafie».
La Chiesa che apre le porte, che scende in strada, la «Chiesa col grembiule» diceva don Tonino Bello. Tanta Chiesa soprattutto del Sud, ma non solo, lo tocca con mano. Usura, spesso legata all’azzardo, dispersione scolastica, droga sempre più diffusa, crisi abitativa, sono terreno dove le mafie conquistano spazi e consenso. La Chiesa, rivendica giustamente il Cardinale, «resiste alla forza disgregativa. Non siamo il resto del passato, ma – con i nostri limiti – operiamo per la liberazione dal male e siamo nel cuore dello slancio dell’Italia verso il futuro». Parole che, purtroppo, stridono con lo scenario di questi giorni. Il contrasto alle mafie è stato per la politica e, ahimè, anche per parte della società, occasione di polemiche, accuse, divisioni. Anche nella ricorrenza di Capaci.
La prova di forza della maggioranza per la presidenza della Commissione antimafia certo non aiuta, così come “condanne” preventive di parte dell’opposizione. La lotta alle mafie non può che essere unitaria, pur nella necessaria chiarezza. Non basta ripetere «legalità» e «antimafia», o slogan d’effetto come «la mafia è una montagna di m…». Contano i fatti, che per la politica vogliono dire leggi efficaci e anche dure contro le mafie (senza abbassare l’asticella), ma anche per lavoro, scuola, famiglia, ambiente, vero sviluppo. E trasparenza, con chiari “no” ai mafiosi, anche quelli in giacca e cravatta. Per la società responsabile vogliono dire comportamenti lineari, senza scorciatoie o favori. La Chiesa, lo ha detto con chiarezza Zuppi, c’è e ci sarà ancor di più. Perché la memoria non sia solo uno sterile ricordo.