Caro direttore,
ho appena visto il giornale di oggi, 24 aprile, e sono ancora un po’ emozionato: la mia lettera e la risposta del presidente del Consiglio. Speriamo che il franco scambio di idee ospitato nelle pagine di “Avvenire” possa davvero servire a qualcosa, per costruire un’Italia più a misura di famiglia. Devo dire che mi sono sentito davvero «guardato ad altezza d’occhi» da quelle Istituzioni che anch’io desideravo guardare negli occhi. Speriamo che quello di oggi non rimanga solo il fugace sguardo di una prima pagina di aprile. Speriamo che Matteo Renzi, questo giovane premier che vuole costruire «un Paese su cui scommettere e investire, in cui credere perché tiene fede alla parola data», individui «presto e finalmente una risposta che, dopo anni di chiacchiere, va attuata. Con necessaria gradualità ma con decisione perché è una questione di giustizia». E speriamo che si impegni davvero per restituirci un Paese che «dà battaglia tutti i giorni per costruire una vita più degna». Un Paese che ricordi anche al resto d’Europa, spesso così impegnata in una folle corsa in avanti verso il nulla antropologico, quali sono i valori fondamentali di un’idea di persona e di comunità «che sa di buono». Un Paese in cui uomini e donne non abbiano più paura di dirsi sì per sempre e di mettere al mondo nuovi esseri umani da amare ed educare, come invece troppo spesso sta accadendo ai giovani italiani, ai miei fratelli più piccoli, per i quali forse non stiamo costruendo un Paese desiderabile. Io ci credo. Mi alzo dal letto ogni giorno anche per questo. A te, caro direttore, e ad “Avvenire” grazie per averci dato voce. Anche a nome di mia moglie e dei nostri tre “cuccioli”.
Stefano, Roma
Caro direttore,
ho il piacere di leggere “Avvenire” tutte le mattine, facendo colazione. È l’unico momento che riservo a me (oltre a quello della preghiera) in tutta la giornata. Poi inizio a “lavorare”, scritto tra virgolette perché sono casalinga e mi occupo a tempo pieno della mia famiglia. Siamo in nove, due genitori e sette figli, mio marito percepisce una buona paga da dipendente di circa 2.500 euro al mese (molto inferiori ai 3.600 del lettore oggi pensionato che il 18 aprile le ha scritto a proposito del “quoziente familiare”). Con questa cifra devo gestire tutto: spesa, mutuo, bollette, tasse, scuole e se ci riesco, scarpe e indumenti intimi perché i figli crescono. Credo quindi che, su questo piano, tutto sia molto relativo, ma credo anche che sia veramente indispensabile che in Italia si cominci a pensare che i figli e le casalinghe sono una risorsa per tutti. Io, infatti, grazie alla mia libertà di orario posso assistere al bisogno parenti anziani, figli di amici in difficoltà, fare piccoli servizi non pagati per vicini, parrocchia e scuole che altrimenti graverebbero sulla spesa sociale. Credo che vada riconosciuta la possibilità alle donne di scegliere se fare le casalinghe o lavorare fuori casa, e riconoscere con il “quoziente familiare” il valore dei figli, soprattutto per quanto riguarda i consumi energetici: noi siamo nello scaglione più alto ovunque, perché in Italia più consumi, più paghi. Un caloroso saluto.
Michela Pertegato, Verona
Caro direttore,
non so se anche io, come Stefano, non vedrò un bel nulla degli 80 euro in più in busta paga. E non lo so, perché, dopo laurea e dopo un anno in stage (6+6 mesi) per un’impresa, sono finalmente stato assunto dall’azienda per la quale ora lavoro. Come collaboratore si intende. Con un contratto a progetto si intende. Anche se, di fatto, svolgo un lavoro dipendente a tutti gli effetti da ormai quasi 2 anni. E sono già passato attraverso tre o più rinnovi. Se sia lecito oppure no, non lo so, non credo, ma francamente non mi importa perché così è. Punto. Questo posso fare oggi a 28 anni in Italia. Ed è il lavoro che mi piace, sia chiaro, non lo cambierei per un altro, ma le leggi, probabilmente non mi vengono incontro. Nemmeno ne faccio una colpa alla mia azienda. Immagino, infatti, che anche per loro sia difficile assumere, tra tasse e burocrazia varia, in un momento così particolare. Ho studiato, so fare bene il mio mestiere – così dicono i miei capi – e so anche due lingue e ne sto studiando una terza (per mio piacere), eppure più di 800 euro al mese non mi possono dare. O così o a casa. Dei contributi e della pensione non ho tempo né risorse per preoccuparmi... Nemmeno posso progettare nulla in questo momento per la mia vita personale e familiare…. Le mie tasche non me lo consentono. Sia chiaro, non mi abbatto e non mi deprimo, non è nelle mie corde (anche se in quelle di altri miei coetanei sì...). Una domanda, però, al premier Renzi la devo proprio fare: visto che in Italia l’istruzione non funziona per spalancarci le porte di una vita adulta autonoma e il mercato del lavoro per noi “giovani” – scrivo così, tra virgolette, perché io a 28 anni non mi considero più giovane, piuttosto uomo – ha regole che cambiano in continuazione, che cosa vuol fare il governo per noi?
Lettera firmata