Caro direttore,
l’Italia è fra i dieci Paesi più ricchi e industrializzati del mondo. È ai primissimi posti nell’export mondiale in molti settori, dall’agroalimentare alla meccanica strumentale alla moda. Nel 2013 ha importato oltre 5 milioni di bottiglie di champagne, di cui è da sempre uno dei primi consumatori. Nello stesso anno i romani da soli hanno comprano più auto Smart di tutti i francesi. Ma c’è un’altra realtà, riassumibile in pochi dati emblematici. Poveri: otto milioni. Disoccupati totali o parziali: sette milioni. Disabili: tre milioni. Malati di Alzheimer e altre forme di demenza: un milione. Naturalmente molti di questi dati si sovrappongono fra loro (un disoccupato è molto probabilmente povero, un disabile è quasi sempre disoccupato, ecc.). Ma, al tempo stesso, per ognuno di questi cittadini diseredati c’è un moltiplicatore: ad esempio, sono da due a quattro le persone che devono farsi carico dei problemi di un disabile o di un malato di Alzheimer. E il costo per accudirli non solo pesa sul presente (aumenta, con il crescere delle demenze, il numero dei familiari con gravi stati di depressione), ma compromette anche il futuro: sono sempre più numerosi i figli che per mantenere i genitori malati di Alzheimer o collocarli in una casa di riposo devono vendere – e dunque svendere – la nuda proprietà delle case di famiglia, che spesso costituirebbe anche la loro unica eredità. Dunque, i numeri fanno paura. Circa un terzo della popolazione italiana ha problemi gravi. E questa situazione, in mancanza di rimedi, è destinata a peggiorare con l’aumento della longevità, cui solo di rado si accompagnano buone condizioni di salute. A questi milioni di italiani dobbiamo poi aggiungere – perché ce lo impongono la geografia, la storia e la umana pietà – i disperati che dalle coste dell’Africa vengono a morire nel nostro mare o, se sopravvivono, a cercare di vivere nel nostro Paese o in un’altra parte d’Europa. Politici e partiti non possono ignorare questa realtà. Eppure si comportano come se non esistesse: lo dimostra la lettura dei programmi politici e/o elettorali. Che cosa condiziona la possibilità di far fronte a problemi di questa enorme complessità? Da un lato, la mancanza di cultura e di volontà politica; dall’altro, la scarsità di risorse economiche. Eppure in Europa qualcosa si muove: cito per tutti la assicurazione obbligatoria che in Germania, con il consenso dei sindacati, copre dal rischio di nascere o divenire disabili e il piano nazionale francese per consentire ai malati di Alzheimer di restare nelle proprie case, non aggravando la situazione del sistema sanitario. È chiaro comunque che fantasia e capacità di proposta politica non possono bastare senza adeguate risorse. Queste risorse si possono trovare in molti campi. L’esigenza primaria, per motivi morali oltre che economici, è quella di recuperare parte dei 200 miliardi sottratti alle esigenze della comunità dagli evasori fiscali (150 miliardi) e dai professionisti della corruzione (altri 50 miliardi; e qui va riconosciuto l’impegno del governo). Somme cui vanno aggiunte le risorse ingenti che potrebbero venire da una rigorosa attuazione delle tante spendig review di cui si ha saltuariamente notizia.
Gli esponenti politici sensibili dovrebbero assumere questi problemi come cuore di un nuovo programma. È un terreno, quello della solidarietà, su cui potrebbero felicemente collaborare la cultura dei cattolici, che ha la storia più lunga del mondo, e quella dei laici progressisti, che affonda le sue radici nel pensiero e nella azione del socialismo umanitario. Cominciamo come si può. Magari giungendo a promuovere “Gli stati generali della equità sociale e della solidarietà”.
Carlo Troilo - Associazione Luca Coscioni
Trovo molto interessante analisi e conclusioni, caro Troilo. E considero utile e opportuna l’evocazione-proposta di «stati generali dell’equità sociale e della solidarietà» . Anche a mio parere sarebbe necessario arrivare presto a una grande iniziativa che aiuti a illuminare le scelte della politica italiana attraverso il confronto con il vitale mondo delle esperienze “dal basso” di welfare sussidiario e con le pratiche e le soluzioni sperimentate in alcune nostre realtà locali e in altre nazioni. Non siamo all’anno zero, grazie anche al generoso impegno di quanti – laici e cattolici – hanno già dato vita all’Alleanza contro la povertà, ma c’è tanto lavoro da fare. La nostra è una società che effettivamente si va facendo sempre più “anziana”, “globale” e caratterizzata da distanze siderali tra grandi ricchi e vecchi e nuovi poveri. Tutte le persone, in ogni fase della vita e qualunque condizione sperimentino, sono sempre una ricchezza non un problema. Ma i problemi delle persone esistono, eccome. So che le difficoltà, le insidie, le sirene fuorvianti e “distruttrici” sono parecchie. Ma so anche che ci sono strade da percorrere insieme per dare risposta a questi stessi problemi, umanizzando sempre più, in senso cristiano e civile, il nostro vivere assieme. Mi auguro di cuore che sia possibile. Un dibattito al quale tu e io, assieme all’ex direttore dell’“Espresso” Bruno Manfellotto, abbiamo recentemente partecipato a Radio Radicale mi fa sperare in questo senso. Mi fa dubitare, invece, il fatto che altri membri della tua Associazione, gentile collega, abbiano preso cappello e – fedeli a duri tic polemici – ci abbiano attaccato in modo molto aspro per il semplice fatto che su queste pagine si è parlato bene di un certo lavoro scientifico sulle staminali adulte, sottolineandone valore etico ed efficacia nel servizio alla vita umana. Ma preferisco stare alle tue parole, alla lucida passione umanitaria che le anima e alla prospettiva che dischiudono. Credo che gli “umanesimi positivi” possano incontrarsi e debbano cooperare, e credo che il loro fine comune sia quello che non ci stanchiamo di indicare: amare e rispettare la vita soprattutto quando è più vulnerabile, scongiurando le azioni tese a “mettere le mani sull’uomo e sulla donna”, l’indebolimento della persona umana e delle sue relazioni forti, la mortifera riduzione a cosa e a merce dei poveri, dei fragili, dei senza voce, degli invisibili. In prima pagina, proprio oggi, con l’editoriale di Assuntina Morresi torniamo a ragionare su un aspetto emblematico dello sfruttamento dei poveri: la colonizzazione dei corpi stessi delle donne povere. Lo facciamo con dolore, ma senza alcuna rassegnazione. Non si tratta di ferite solo dei poveri e solo “nostre”, sono ferite di tutti. E a ognuno di noi spetta una parte di buon lavoro (e di buona coscienza) per sanarle.