Caro direttore,
negli anni 60 del Novecento (quando io avevo fra i 10 e 13 anni) vidi al cinema un film – girato in Italia subito dopo la guerra – che mi emozionò tanto da non dimenticarlo più. Era intitolato “La grande speranza”: raccontava la vicenda di un sommergibile italiano e del suo equipaggio, che durante la Seconda guerra mondiale a proprio rischio e pericolo raccoglievano i naufraghi di una nave da loro stessi affondata, e li portavano in salvo a terra. Non ricordo se nel film venissero detti i nomi del sommergibile e del suo comandante: ma ho imparato la storia e non l’ho più dimenticata. Di quel film non sentii poi più parlare, finché circa venti anni fa venne trasmesso da una rete televisiva della Germania (naturalmente in tedesco!), così che, avendo l’antenna satellitare, potei rivederlo e registrarlo. Lo conservo in una videocassetta. È un bellissimo film, di quelli che tanti, oggi, sarebbero felici di rivedere, e che specialmente per i ragazzi potrebbe avere un forte valore educativo. Ma fra le migliaia di film di avventura e di guerra che le reti tv italiane hanno trasmesso in questi decenni, mai a nessuno è venuto in mente di mandare in onda “La grande speranza”. Un incomprensibile peccato di omissione. Questi ricordi mi sono tornati oggi, leggendo su “Avvenire” , nell’articolo «Salvare il nemico», i nomi dei veri protagonisti della vicenda – vera, avvenuta in Atlantico nell’ottobre 1940 – raccontata dal film: erano il sommergibile “Cappellini” e il suo comandante Salvatore Todaro. Un sentito grazie ad “Avvenire” e un’ultima considerazione. Qualche rete italiana ha già trasmesso più volte (anche di recente) il – sia pur meritevole film tedesco “U-Boot”, ma non sarebbe ora che le nostre tv a cominciare dalla Rai facessero agli italiani il regalo di poter vedere un film come “La grande speranza” una vicenda e un tipo umano – uomini capaci di dire come il comandante Todaro «Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle» – capaci di farci sentire (perché ne abbiamo motivo, ma anche bisogno!) orgogliosi di essere italiani?
Franco Spagnolli, San Michele all’Adige (Tn)
Non ho visto il film “La grande speranza”, ma conosco la storia vera alla quale si ispira la trama della pellicola girata da Duilio Coletti e uscita nelle sale italiane nel 1954. Una storia di umanità e di civiltà dentro la guerra che ha insanguinato il cuore del Novecento che su “Avvenire”, in questa estate 2018, ci siamo trovati in condizione di ricordare due volte. Prima lo ha fatto Nello Scavo, il 20 luglio, dando puntualmente conto di una splendida ed emozionante aggiunta “a braccio” dell’ammiraglio Giovanni Pettorino al discorso tenuto pochi giorni prima per il 153° anniversario della fondazione della Guardia Costiera di cui è Comandante generale. Parole spese senza retorica e con fermezza per spiegare quanto i marinai d’Italia, militari e civili, abbiamo a cuore il rispetto della “Legge del mare” che impone di soccorrere chi è in difficoltà e rischia di morire, e nulla importa che sia pescatore o turista o migrante. È una persona, e tanto basta. In essa Pettorino citava a memoria la risposta data nel 1940 dal capitano Todaro a un alto ufficiale tedesco che gli aveva chiesto aspramente conto dei rischi corsi per soccorrere un «equipaggio nemico» dopo averne affondato la nave: «Noi siamo marinai, marinai italiani, abbiamo sulle spalle duemila anni di civiltà, e noi queste cose le facciamo». Poi, in altro contesto, pochi giorni fa: il 19 settembre, è stato Vincenzo Grienti a ricordare fatto e lapidaria espressione di Salvatore Todaro nell’articolo da lei citato.
Che cosa posso aggiungere? Prima di tutto un’informazione pratica. Qualunque cosa facciano le tv del Bel Paese, c’è la possibilità di vedere il film (in italiano) via internet su You Tube. E poi una considerazione semplice semplice: “italiani brava gente” non è un lezioso modo di dire, ma un concreto modo di pensare, di vivere e di dare valore alla vita propria e degli altri, ed è frutto di una immensa cultura umanistica illuminata dal Vangelo. Non possiamo dimenticarcene, dobbiamo saper trasmettere questo lascito di “grande speranza” alle nuove generazioni. E una specialissima responsabilità grava su chi ha doveri di rappresentanza politica e di governo. «Duemila anni di civiltà» valgono infinitamente più di qualunque slogan acchiappavoti e schiacciapersone e di ogni battutaccia da comizio, anche ai tempi dei social network.