Caro direttore,
le parlo di mio figlio Emanuele, che ha 11 anni ed è speciale: è dislessico. I figli non sono nostri, ma di Dio. E, se io ne avessi avuto subito la consapevolezza, tanti errori non li avrei commessi. Ogni figlio nasconde impressa l’immagine di Dio e quindi ogni dettaglio – anche l’imperfezione – se lo guardiamo con gli occhi di Dio è espressione di una meravigliosa sinergia cosmica. Tutto accade per un fine: amare Lui e di conseguenza gli altri ed essere felici. Emanuele è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Dio mi sta insegnando a rileggere la vita di mio figlio, a usare un alfabeto diverso, a ripercorrere il mio passato riconoscendo tutto l’amore, la pazienza e la dolcezza che Lui ha usato con me. In questo modo, il mio sguardo cambia verso tutto, anche verso mio figlio. A Emanuele fin da piccolo piacevano i quadri e non si annoiava a osservarli nei musei: c’era sempre qualcosa che lo colpiva, le sue osservazioni non erano mai banali, anche se non riusciva a tradurle in parola scritta. Ha una sensibilità spiccata per gli altri: sempre attento alla salute dei nonni, mai indifferente alla sofferenza altrui, lascia stupita l’anziana Emma perché quando la vede arrivare in bicicletta lascia i giochi e va ad aprirle il cancello... Ha pianto quando il maestro di matematica se ne andato, quando è partito un compagno straniero conosciuto da poco. Ha pianto quando Guido e Maria sono partiti come missionari e ha fatto per loro un meraviglioso disegno: un aereo che volava con loro dentro e le ali erano lo Spirito Santo; ha insistito perché invitassimo lo zio separato per non farlo sentire troppo solo, non sopporta vedere piangere la sorellina anche quando è per un capriccio e cerca di capire se ha qualche bisogno che magari noi non vediamo. E poi la sua voce è uscita in un canto meraviglioso e un maestro di musica l’ha fatto entrare in un coro dove la sua voce calda, modulata assieme a quelle dei compagni ha fatto vibrare i cuori di giurie e scaldato gli animi di tanti. Guardo i suoi begli occhi azzurri e penso che sono fortunata, anzi graziata, perché averlo come figlio così diverso mi ha obbligato a guardare le cose da una prospettiva diversa, a non dare per scontato che tutto deve sempre andare da sinistra a destra o da sopra a sotto, che tanti "no" possono diventare "sì", e sono anche meglio. La fretta di tutti i giorni è rallentata dai suoi ritmi e ho scoperto che è bello e gratificante essere pazienti, che la velocità spesso impedisce di cogliere i dettagli, che l’impazienza è un limite sciocco e invalidante. Ogni giorno mi sorprende, mostrandomi aspetti del mondo ai quali non avevo pensato. È l’immagine di un universo che, creato da Dio, si lascia scoprire poco a poco; anche il modo di essere di Emanuele è espressione della Sua fantastica fantasia. È il quarto di sei figli e unico maschio, una quotidianità un po’ dura e speciale lo stava aspettando. Non mi chiedo, caro direttore, che cosa farà da grande perché lui è grande; so che Dio ha un disegno su di lui e che sarà speciale. Chiedo a Maria di illuminare questo progetto divino perché lui possa riconoscerlo e seguirlo. Grazie Emanuele e grazie Signore per avermi scelta immeritevole madre.
Silvia Vassalli - S. Felice del Benaco (Bs)
Non mi resta molto da dire, cara signora Silvia. Ma una consapevolezza di padre e di cittadino da aggiungere alla sua, integralmente materna e profondamente cristiana. Viviamo un tempo che, come altri nella storia del mondo, conosce la pretesa di stabilire chi è meritevole di essere accolto, di avere una possibilità (di cominciare e, tutte le volte che serve, di ricominciare), di partecipare alla vita della città dell’uomo e della donna, persino di vivere. Anzi di sopravvivere a quelle che vengono catalogate come imperdonabili "imperfezioni" (ferite ricevute in eredità genetica o subite lungo il cammino). Si tratta di una folle vertigine, di una delle facce di quell’accurato e feroce non-amore che ci circonda e che si ammanta di parole forti e di anche eleganti inni alle libertà e ai diritti (sempre declinati al plurale...) o di metallici appelli alla sicurezza (sempre declinata al singolare) scanditi per illudere, tagliar fuori, emarginare, escludere le cosiddette «vite indegne», gli scomodi, quelli che sono «d’ingombro» e «di peso». Un pensiero opprimente e opaco, un modo solo apparentemente scintillante di fare economia, scienza sociale e medica, una spregiudicata maniera di agire in politica, di confezionare leggi, di snervare antichi e saldi princìpi di solidarietà che congiura a rendere più brutte, ingiuste e misere le nostre società. Tutte, anche nel nord opulento del nostro pianeta, anche nella nostra Italia. La sua esperienza e le sue parole, cara e gentile amica, sono un vaccino. Semplice, efficace e vero come tutte le buone medicine.