«Salvo intese». Di fatto neppure il governo di Mario Draghi è sfuggito all’italica abitudine di approvare in Consiglio dei ministri una norma in realtà ancora in buona parte indefinita. Tanto che, otto giorni dopo la riunione del gabinetto di governo, il testo definitivo della legge di Bilancio ancora non c’è. Questo tempo di sospensione, però, potrebbe essere propizio per qualche aggiustamento significativo e soprattutto per evitare false partenze su un tema fondamentale come l’Assegno unico e universale per i figli.
Lo slittamento dell’avvio del beneficio definitivo – e il conseguente prolungamento fino a marzo della misura-ponte anticipato ieri da 'Avvenire' – è dovuta principalmente a una motivazione tecnica: evitare ai cittadini, a ridosso dell’approvazione del decreto, una corsa a perdifiato verso i Caf per ottenere le certificazioni Isee utili a ottenere la misura di sostegno per i figli.
Lo spostamento della validità del nuovo Assegno, che sarà sempre da un marzo a quello successivo, permetterà infatti di avere a disposizione due mesi in cui farsi certificare redditi e patrimoni, dando tempo all’Inps, ente erogatore, di elaborare le domande. Tuttavia, dietro la scelta tecnica che dovrebbe essere formalizzata nel decreto all’esame del Consiglio dei ministri di settimana prossima, si scorgono ancora dei nodi non sciolti e conti che probabilmente non tornano.
Come più volte segnalato su queste pagine da Massimo Calvi, infatti, i quasi 21 miliardi di euro impegnati finora per la misura rischiano di non essere sufficienti per raggiungere gli obiettivi posti nella legge delega. Sia in termini di importi ipotizzati: da 50 euro al mese a figlio per tutti indistintamente a 180 euro per i meno abbienti, con maggiorazione dal terzo figlio fino ad arrivare a 240-250 euro al mese a bambino. Sia, soprattutto, per dare finalmente il senso di una svolta chiara, definitiva e incisiva sul riconoscimento del valore dei figli nel nostro Paese.
Quello che in realtà era l’obiettivo principale della legge delega, meritoriamente promossa dal governo e approvata all’unanimità dalle forze politiche. Ma se questo scopo fondamentale è ancora condiviso da tutti non si può sprecare l’occasione per molti versi storica del varo dell’Assegno per i figli né rischiare di sminuirne la portata per una relativa mancanza di fondi o per un ennesimo rinvio. Non bisogna dimenticare, infatti, che dal prossimo anno saranno anche abolite le detrazioni per i figli a carico, con ciò sacrificando l’equità del trattamento fiscale delle famiglie rispetto ai singoli. Questione che può essere compensata solo da una riforma del Fisco caratterizzata dal quoziente/fattore famiglia oppure, appunto, da un Assegno per i figli realmente universale (una quota fissa per tutti non simbolica) e di portata consistente nella componente variabile.
E allora, per essere molto chiari: se le simulazioni svolte dal governo evidenziano la necessità di finanziamenti aggiuntivi è a questa, e non ad altre partite, che va data la priorità assoluta già nella legge di Bilancio in via d’approvazione. Non ci sono bonus edilizi, pensionamenti anticipati o ulteriori sconti in busta paga che valgano quel non più rinviabile investimento nel futuro rappresentato dal sostegno alla natalità e al fare famiglia. Anche per il contrasto a una crisi demografica che molti – imprenditori e sindacati compresi – faticano ancora a comprendere nella sua reale e drammatica portata, non fosse altro che in termini di prossima mancanza di lavoratori e di sostegni al welfare pubblico.
Siamo già molto in ritardo, ma siamo ancora in tempo per fare le cose giuste in maniera efficace. Questa volta il «salvo intese», le forze politiche possono usarlo bene: scommettendo sul futuro ancora in maniera unanime.