La metamorfosi leghista: com'è triste quel blu
martedì 19 settembre 2017

Chissà che fine faranno ora le migliaia di (improbabili) cravatte con il sole delle Alpi e le pochette verdi che i leghisti esibivano con orgoglio fino a qualche giorno fa. Al raduno di Pontida, domenica scorsa, il colore dominante della scenografia era il blu e blu lo sfondo dell’unico slogan a campeggiare: «Salvini premier». Il verde padano non sembra più di moda e il governatore della Lombardia Roberto Maroni, con indosso una maglietta color trifoglio, appariva molto retrò, con un’aria quasi da cimelio vintage rispetto alla nuova Lega. Quello dal verde al blu, infatti, non è solo un cambio di colore, ma il segno anche cromatico della compiuta metamorfosi della Lega da movimento secessionista prima, federalista poi e autonomista da ultimo, in partito nazionale e nazionalista. Nelle intenzioni "nazional-popolare", "sovranista", patriottico addirittura, dalle forti radici al Nord, certo, ma con rami e (ancora teneri) germogli al Centro e al Sud. Un partito che si presenta "tradizionalista" in campo etico-religioso, "protezionista" in quello economico-sociale, soprattutto decisamente "securitario", che sembra aver mutuato la gran parte dei valori e degli obiettivi politici dalla destra italiana.

Al di là del cambio di colore – non a caso ora lo stesso dell’ultima campagna elettorale del Front National di Marine Le Pen – colpisce, infatti, come nel comizio di Matteo Salvini a Pontida siano rimasti relegati sullo sfondo i temi dell’autonomismo regionale, nonostante si sia alla vigilia di due referendum consultivi in Lombardia e Veneto, faticosamente costruiti dai due governatori leghisti. Mentre hanno avuto massimo spazio e attenzione gli slogan sullo «stop all’immigrazione», la difesa dell’ordine pubblico, le «mani libere che lasceremo a carabinieri e polizia». Sono passati solo pochi anni, eppure paiono lontanissimi i tempi dell’irrisione al Tricolore a Venezia, che oggi viene invece sventolato e addirittura "brandito" contro (presunte) invasioni. Bandiera nazionale prima odiata e di cui ora si è così gelosi che, assieme alla cittadinanza, «non si può regalare», cioè riconoscere, neppure ai bambini nati in Italia da genitori stranieri che qui si istruiscono e si (con)formano ai nostri valori.

All’indomani dello scontro con la magistratura per il sequestro cautelare dei conti del partito – conseguente alla condanna in primo grado per malversazioni del vecchio gruppo dirigente – a Pontida non ci si poteva certo attendere un elogio dei giudici. Colpisce, però, anche in questo campo, la mutazione della Lega, storicamente affermatasi sull’onda dell’appoggio alla magistratura nell’operazione Mani Pulite, con l’allora «popolo dei fax» e gli slogan contro «Roma ladrona», che oggi si trova su quello stesso banco degli imputati e non affida più ai giudici la missione di sanare la piaga della corruzione, ma preferisce insistere sull’esigenza di sicurezza da tutelare grazie all’opera di forze di polizia senza freni e lacci. Più della «legalità», per la nuova Lega nazionale conta l’«ordine», più di indagini e processi sono le manette a essere invocate, più dell’educazione degli uomini è la «castrazione chimica» il rimedio alle violenze sessuali (ma, beninteso, non per i carabinieri di Firenze...).


Nei programmi annunciati da Matteo Salvini spiccano l’abolizione della legge Mancino (sulle aggravanti per odio razziale ecc.) e del progetto Fiano (sulla propaganda al fascismo, ancora in itinere). Soprattutto, dal palco di Pontida si afferma la volontà di riformare il sistema giudiziario introducendo, come nel modello americano, i giudici eletti dal popolo con tutte le conseguenze sull’obbligatorietà dell’azione penale e il possibile controllo della magistratura da parte del governo che si possono ben immaginare.

E pazienza se – anche solo per ipotizzarlo – una legge ordinaria non sarebbe sufficiente, ma occorrerebbe mettere mano a una complessa riforma di molti articoli della Costituzione. Basta lo slogan, perché tutto, in fondo, è funzionale a costruire un clima di falsa emergenza sociale, di democrazia in pericolo, a instillare una paura che porti gli elettori a scegliere non la strada delle riforme, ma la scorciatoia dell’"uomo forte", della svolta securitaria appunto. Persino le lodevoli attenzioni riservate alle famiglie, ai soggetti deboli, ai disabili – temi sui quali si potrebbero costruire utilissime convergenze – vengono piegate dalla Lega all’artificiosa contrapposizione di un "prima" e di un "dopo", di un "noi" e un "loro" da tenere distinti e divisi.
Se il verde è il colore della speranza, il blu, com’è noto, è quello della tristezza, della nostalgia, della malinconia. Tutto o quasi cambia, ma poco o nulla si evolve all’orizzonte di Pontida.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI