Gentile direttore,
il presidente del Cnca Riccardo Facci, nella lettera ad “Avvenire” cui lei ha risposto sabato 23 ottobre, scrive che «è inaccettabile, prima di tutto dal punto di vista etico ed educativo, che un consumatore di sostanze finisca in carcere, o che in generale debba subire una sanzione penale». Sono perfettamente d’accordo con lui tanto è vero che dopo un confronto nelle Conferenze nazionali sulla droga di Palermo del 2005 e Trieste nel 2009, quando avevo la delega governativa di dirigere il Dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio, la normativa si è mossa proprio in quella direzione. Con il consenso pieno infatti di Comunità come quella di San Patrignano e la partecipazione convinta di quei giganti della prevenzione e del recupero dei tossicodipendenti che sono stati don Pierino Gelmini, don Oreste Benzi e don Mario Picchi non solo è stata confermata la depenalizzazione del consumo personale ma introdotta la possibilità di curarsi in Comunità, senza finire in carcere, per i tossicodipendenti che sono stati condannati per reati comuni sino a 6 anni di detenzione. Mentre infatti la falsa propaganda dei radicali continua a raccontare la bugia delle migliaia di giovani che in Italia finirebbero in carcere per aver fumato uno spinello, il caso Morisi ha dimostrato, e tutti i media lo hanno sottolineato, che l’uso personale della cocaina trovata in casa sua non costituisce reato. Si continua poi ad affermare che il nostro sistema, che bisogna ricordalo ha come capisaldi la informazione, la prevenzione e il recupero, sarebbe fallimentare per non riuscire comunque a evitare spaccio e consumo favorendo così gli affari della criminalità organizzata. Su questo punto rimando i lettori alle lezioni di magistrati come Paolo Borsellino e Nicola Gratteri che spiegano perché la legalizzazione sarebbe un bel regalo fatto alle mafie. Voglio invece citare un significativo dato di paragone: in Italia i morti per overdose variano tra i 300 e i 400 all’anno, negli Stati Uniti, che in Colorado e in altri Stati stanno subendo i catastrofici risultati della legalizzazione della cannabis, l’anno scorso sono stati 91mila, novantunmila! In questo quadro i quesiti referendari si propongono di depenalizzare la cessione (spaccio) sino a svariati chili di cannabis e in più della Ghb e della Gbl, le cosiddette “droghe dello stupro”, di non ritirare più la patente a chi viene trovato con sostanze stupefacenti (20mila ogni anno), ma soltanto a quelli che risultano positivi ai test dopo essere stati fermati alla guida di un automezzo (534 nel 2019), provocando così un sicuro aumento degli incidenti stradali, permettere la coltivazione domestica non soltanto di cannabinoidi, ma anche di quelle piante da cui si ricava eroina e cocaina, per esempio la morfina, sostanze che oggi per necessità di cura possono essere acquistate in farmacia soltanto dietro presentazione di ricetta medica. Chi sta investendo somme ingenti sulla “liberalizzazione” (a cominciare dalle centinaia di negozi che offrono la cosiddetta “cannabis light”) congiura per ampliare il numero dei consumatori sul mercato, mentre i terribili danni sociali, economici, sanitari di questa scelta verrebbero pagati dalla collettività.
Carlo Giovanardi
Ricordo bene, gentile dottor Giovanardi, il suo impegno da parlamentare e da esponente di governo sul fronte della lotta alle droghe e alle dipendenze. E condivido non pochi degli argomenti che lei porta contro la depenalizzazione della cannabis. Coincidono, in buona parte, con quelli che mi hanno spinto ad avvertire, nella risposta che ho dato al presidente del Cnca, che anche in Italia stiamo rischiando di prendere solenni cantonate. E questo, soprattutto, per il clima euforico e facilone in cui si sta sviluppando l’iniziativa referendaria sulla cannabis. Non condivido, invece, l’idea, che lei sembra sostenere, che tutto debba restare così com’è a livello normativo. Ho scritto che sarà bene sottoporre le regole vigenti a una seria revisione. E lo confermo, all’unisono con tanti protagonisti dell’impegno per il “recupero” dei tossicodipendenti. E confermo pure che gli studi più accurati sull’ambiguo effetto della liberalizzazione-legalizzazione di stupefacenti sugli “affari” della malavita non autorizzano a concludere con certezza che li freni o li sfreni, sebbene l’esempio dell’azzardo non lasci ben sperare. Ecco perché, in questi casi, dovrebbe valere sempre il principio di precauzione. Regalare spazio allo “sballo” e alla morte è gravemente autolesionista e semplicemente sbagliato.