Il feretro di Sammy Basso con la sua foto durante il funerale di venerdì - Fotogramma
Caro Sammy, solo ora, scorrendo a una a una le parole della tua lettera post-mortem, abbiamo capito fino in fondo, senza poterne fare a meno, che sfrontata provocazione è stata la tua. Hai dovuto amare la vita, senza avere scampo, dal momento in cui l’hai avuta. Ti è arrivata in una forma che non potevi ignorare e che anzi ti ha posto subito all’attenzione.
Anche se l’hai presa dal tuo verso, fino a prenderla in giro con la giostra della tua ironia – la mania delle barzellette da raccontare, il sorriso sempre pronto e quell’ultima, struggente sfida dell’addio nel cuore di una festa – si trattava di una malattia; brutta come tutte, per definizione, ma questa anche per l’essenza stessa. Nessuna cura, il catalogo quello sempre più affollato, un beffardo ossimoro, delle malattie rare.
Tutto a tuo carico. Non poteva avere esito, lo sapevi da subito, quel tuo affannarsi a studiare il caso e cercare di allargare le maglie della scienza perché desse qualche risposta, se non per te, per altri a cui è toccata o può toccare la stessa sorte. Eppure, questa tua ricerca è andata lontano, ben oltre i confini di una scienza medica alla quale tocca ancora, di fronte a troppi casi, alzare le mani e battere in ritirata. Tu hai aggirato, o forse raggirato, l’ostacolo. Hai mirato più in altro e ti è venuta alla fine, per tutti noi, la formula per curare non una brutta malattia, ma addirittura la vita, anch’essa, negli ultimi tempi sfregiata da rughe cattive e profonde; non quelle ordinarie che segnano la fatica e le ansie dei giorni, ma i solchi che su ogni volto disegna , scavandoli, il tormento delle guerre. I conflitti sono quando la vita perde di prezzo e valore, è dileggiata e in pochi se ne prendono cura. E non solo per le guerre: dai campi di battaglia si sparge odio anche in lontananza. Ammorba l’aria, arma mani anche inconsapevoli. Molti perché di fatti di violenza tanto efferati quanto inspiegabili, vengono da nubi tossiche che inquinano la vita di ogni giorno.
Amare la vita nel modo che tu ci hai svelato è la cura per tempi come questi. Non l’hai inventata, non può essere un vaccino da somministrare a dosi per ognuno, ma hai detto e hai fatto vedere che può essere praticata. Gli effetti sono sicuri, e questo lo sapevi. Hai voluto metterli per iscritto in quella tua lettera che, in vita, avevi in realtà già rivelato. Chi poteva mettere in dubbio che, come hai sempre detto, ti era toccata una bella vita, e fino al punto da raccomandare a tutti di viverla in modo pieno, sapendo che c’è sempre un domani. Anche dopo il funerale che ti ha accompagnato, con il carico di emozioni che hai addensato tu stesso intorno al tuo addio, al viaggio verso il tuo sonno arretrato.
E chi poteva non capire l’origine di tutto questo? Non certo il segreto, perché la tua fede, il tuo amore per Cristo, l’hai svelato molto prima del tuo “testamento”. Semplicemente lo hai vissuto. Quel Vangelo che sfogliavi a partire dalla sveglia delle dieci di mattina è stato in realtà il tuo diario del giorno. L’hai preso sul serio, badando poco a te stesso, pur sapendo che avevi un diritto speciale alla parola.
Ora che l’hai esercitato fino in fondo resta su tutto proprio la grandezza di quel tuo Grazie a Dio. È, come un velo, anzi, un enorme manto di tenerezza sparsa sulle rovine dei nostri giorni. C’è il freddo dei conflitti, il gelo degli odi. Ed è scesa all’improvviso su di noi, il conforto di questa tua sfrontata e benedetta provocazione.