I dietrofront di Abiy Ahmed sul conflitto in Tigrai sono stati repentini e suonano clamorosi. Dopo quasi cinque mesi di conflitto, oscurato con un blackout informativo e comunicativo, questa settimana il Nobel per la Pace ha dovuto ammettere nel giro di tre giorni in Parlamento e sui social quello che aveva sempre smentito. Vale a dire che in quella regione settentrionale etiopica, guidata fino a novembre dal Tplf e per spodestare il quale il premier etiope ha lanciato un’operazione bellica definita di 'sicurezza interna', sono stati commessi abusi e crimini contro l’umanità.
È così, infatti, che il diritto internazionale bolla le violenze indiscriminate di militari su civili, l’uso degli stupri come arma di guerra e la distruzione sistematica e il saccheggio di strutture sanitarie, civili e religiose. Abiy – con una gaffe che ha fatto inorridire molti – ha messo sullo stesso piano gli stupri da parte di soldati eritrei ed etiopi con gli assalti delle forze del Tplf alle truppe federali, ma il riconoscimento dei fatti commessi c’è stato. E pesa. Un’altra auto-smentita della narrazione ufficiale del conflitto è la presenza delle truppe eritree sul suolo tigrino. Abiy – dopo mesi di dinieghi ripetitivi come un mantra da parte di Addis Abeba e Asmara – ne ha finalmente riconosciuto la presenza, pur circoscrivendola a imprecisate 'aree di confine' tra i due Paesi. A fronte delle contestazioni internazionali di Usa, Ue e di numerose organizzazioni internazionali e non governative sui crimini di guerra commessi dagli eritrei sul suolo tigrino, ha detto di averne parlato «quattro o cinque volte» con il dittatore eritreo Afewerki. Ieri Abiy, dopo un viaggio lampo ad Asmara, ha annunciato il ritiro di chi ufficialmente non c’era. Evidentemente il sesto colloquio è stato determinante.
O forse lo sono state le pressioni internazionali, a partire da quelle della nuova amministrazione americana che sembra intenzionata a propiziare una svolta nel Corno d’Africa in mano alla strana coppia Abiy-Aferweki dopo la pace del 2018. C’è chi teme che il ritiro sia solo un annuncio a uso di cancellerie e opinione pubblica internazionale. In realtà, Abiy è stato soprattutto piegato da un gruppo di media (né distratti né collusi) e dalle organizzazioni umanitarie, che hanno giocato un ruolo determinante e ottenuto una vittoria importante nella guerra oscurata ascoltando i più deboli, le vittime, i senza voce.
In Tigrai le organizzazioni umanitarie dell’Onu e quelle per diritti umani, quelle sanitarie tra cui la Croce Rossa, le sette testate internazionali autorizzate ad entrare nella regione hanno tutte confermato in un crescendo rossiniano quanto anche questo giornale raccontava dall’inizio, dalle atrocità indicibili commesse contro civili e rifugiati eritrei alla crisi umanitaria. La stessa Commissione etiope sui diritti umani, nominata dal governo, ha dovuto ammettere le stragi commesse dagli eritrei nella città santa di Axum a fine novembre, denuncia che in Italia 'Avvenire' ha fatto per primo e ribadito nonostante le pressioni per zittirci. È stata sconfitta così la censura preventiva ma anacronistica, la propaganda mediatica per celare eventi troppo drammatici per essere ignorati in un mondo inesorabilmente connesso dove i fatti sono argomenti testardi.
L’alleanza tra società civile organizzata e media alla ricerca della verità è imbattibile, non a caso il dittatore eritreo Afewerki ha cacciato le Ong nel 2007 e chiuso tutti i media indipendenti. Ma Abiy, Nobel per la pace 2019, accolto come l’uomo nuovo del continente, così come a suo tempo Afewerki venne acclamato come il Che Guevara africano, non poteva mantenere a lungo la cappa di silenzio sulla guerra e i suoi orrori. Può solo continuare a ripetere che gli arcinemici (e niente affatto stinchi di santo) del Tplf hanno «assunto lobbisti» con soldi «frutto di appropriazione indebita» e piazzato negli ultimi 30 anni «propri dirigenti in organizzazioni internazionali come Amnesty e agenzie dell’Onu» confondendo il governo americano con false informazioni.
Pei ironia della sorte Abiy, maestro della gestione dell’immagine e che aveva impressionato tutti con la liberazione dei prigionieri politici, ha sottovalutato l’organizzazione della diaspora eritrea e tigrina che ha offerto una contronarrazione del conflitto verificabile e perciò credibile ed è stato sconfitto sul suo campo. Ora aumentano le richieste di revoca di un Nobel concesso troppo generosamente. E di 'revoca' di una guerra dichiarata, feroce e non più oscurata.