Luigi Savoldelli Clusone ( Bg)
Non è la prima volta, in questi mesi, che ci vediamo porre dai lettori quesiti circa le effettive proporzioni della crisi economica in atto, soprattutto a fronte di un consumismo che almeno apparentemente è poco o per nulla scalfito dalle circostanze generali. Dare una risposta univoca sarebbe pretenzioso e poco serio. Certo gli indicatori macroeconomici dicono di una recessione che c’è, che si avverte nel drastico ridimensionamento delle prospettive economiche, nel ricorso massiccio alla cassa integrazione, nell’aumento del numero di quanti ricorrono agli aiuti della beneficenza, dei patronati e alla solidarietà pubblica, nel modificarsi di certe abitudini di spesa (nella grande distribuzione la gastronomia pregiata ha subito un duro colpo: l’aumento delle vendite di carni bianche o piccole è stato direttamente proporzionale al calo di consumo dei «tagli» di maggior qualità, idem per la mortadella, tornata in auge a scapito del prosciutto crudo). Insomma è indubbio che molta gente faccia fatica a far quadrare i conti di casa. Il problema però è capire quanta e quale sia la quota del corpo sociale che stenta. Perché per certuni la festa non pare affatto finita. Fanno impressione per esempio i dati conclusivi di MiArt, l’importante Fiera dell’Arte Moderna e Contemporanea di Milano,che ha chiuso i battenti lunedì certificando la tenuta del settore del lusso: ebbene, nonostante la crisi, gli acquisti medi si sono collocati in una fascia di prezzi tra i 20 e i 150mila euro, e anche il pubblico risulta aumentato del 40%, mentre il volume totale di scambi dovrebbe aver sensibilmente superato gli 8 milioni di euro dell’edizione 2008. Altro dato eloquente: durante il ponte di Pasqua i soli milanesi hanno lasciato nelle casse di agenzie di viaggio e tour operator ben 190 milioni di euro, spesi in mete esotiche, crociere ecc. Si conferma, insomma, che la ricchezza in Italia è distribuita a macchia di leopardo. Ma come ben si evince dalla sua lettera non è qui il punto, perlomeno quello che ci preme. Il punto è che ben poco ridimensionata sembra la voglia di consumare e di «apparire», e ancora in auge la sbornia materialistica che accomuna ricchi e meno abbienti. Il rischio è veramente quello di gettare alle ortiche un’occasione preziosa per rivedere uno stile di vita collettivo ormai insostenibile, per entrare nel giro virtuoso di comportamenti più maturi, responsabili, sobri. Un’urgenza che interroga non la «società» in astratto, bensì ognuno di noi, con nome e cognome.
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