Le cedo quasi tutto lo spazio riservato a questa rubrica, caro professor De Santis. E lo faccio volentieri. Spero che mi perdonerà qualche taglio che, qua e là, ho dovuto fare al suo speciale e bellissimo testo d’augurio ai nuovi diciottenni. Mi auguro che le lezioni di Educazione civica che si terranno nelle scuole italiane abbiano questo respiro e questa intensità. Quanto alla sua decisione di farsi oggi anche silenziosa Sardina, mi conferma la qualità dello stile e delle motivazioni dei partecipanti a quel tipo di manifestazioni. Se posso darle un consiglio, faccia silenzio per un po’, ma non smetta di trasmettere questi valori. Consiglio scontato e inutile, perché la sua intenzione di non smettere mi pare chiara... Grazie, e un cordiale saluto.
Gentile direttore,
oggi pomeriggio, venerdì, andrò anch’io in piazza a Udine per unirmi alle Sardine. Avrei voluto andarci già due settimane fa a Monfalcone il 30 novembre, ma ho partecipato come decine di migliaia di italiani alla Colletta Alimentare. E pur accanto alle casse di un supermercato ritengo di essere “sceso in piazza” anche quel giorno. Sarò una Sardina non solo per arginare una deriva violenta e sempre più disumana e stigmatizzare uomini e donne capaci di pensare solo a sé stessi e non al bene di tutti, ma anche per rendere ancora e sempre più visibile che non è vero che siamo allo sbando, che ci siamo persi. Una rotta, una buona rotta l’abbiamo per navigare verso qualcosa che vale la pena di essere raggiunto e vissuto. La scorsa primavera mi è stato chiesto di parlare ai giovani diciottenni di un paese della (ex) provincia di Gorizia in occasione della consegna del testo della Costituzione a ognuno di loro. Le offro le parole che ho rivolto allora a quei ragazzi. «Vi è mai capitato di svegliarvi di soprassalto, gridando, spaventati perché avete avuto un incubo? Vi ci vuole qualche minuto, forse la vicinanza di una persona cara per ritrovare serenità e prendere le distanze da ciò che vi ha terrorizzato. La luce accesa, le parole di conforto, l’aprire gli occhi e scoprire che le cose non sono vere come era sembrato un attimo prima. Adesso provate ad immaginare di rovesciare la situazione. L’incubo è reale e l’unico modo per uscirne è sognare. Ma non un sogno qualsiasi, di quelli di cui non ti ricordi nulla quando ti svegli. Un sogno potente, grande, più forte e profondo dell’incubo. Ecco questa è la situazione in cui si sono trovati gli uomini e le donne che hanno scritto la nostra Costituzione. Avevano vissuto davvero il più tremendo incubo della storia umana insieme a centinaia e centinaia di milioni di esseri umani. Morte, sofferenza, disperazione, orrore. Bisognava far terminare l’incubo. Quindi bisognava sognare. E sognare cosa? Un mondo di tutti e non di pochi, e dove essere diversi – per idee, sesso, religione, provenienza – non fosse una colpa ma una ricchezza. Un mondo dove tutti, ma proprio tutti abbiano il diritto di vivere la loro vita nella libertà e di giocare le proprie carte alla pari. Direte: è solo un sogno. No! È un sogno vero. E non ci sono bacchette magiche, ma donne e uomini che ogni giorno sanno seguire la strada per costruire il sogno. Qual è questa strada? Leggiamo l’articolo 1. Due le parole da sottolineare: lavoro e popolo. Con il lavoro noi siamo protagonisti del sogno. Ognuno con le sue capacità, con il sudore della fronte, con le intuizioni del proprio pensiero, con la tenacia, con l’amore verso le cose fatte per bene. E il fatto che oggi in tanti non abbiano lavoro, e nemmeno la prospettiva di averlo in futuro è il pericolo più grave che la nostra Costituzione abbia mai corso. È il lavoro che ci rende veramente cittadini. L’altra parola è popolo. Vale a dire non io da solo, non io per primo e gli altri si arrangino. No! Vuol dire insieme. Che non significa essere identici, ma essere differenti eppure capaci di camminare verso la stessa direzione. Ho il diritto e il dovere di essere me stesso con e per gli altri. Perché siamo popolo. Ma cos’è un popolo? Gente che parla la stessa lingua? Ma noi italiani parliamo tantissime lingue. Gente con lo stesso colore della pelle, lo stesso Dna? Ma noi italiani siamo sempre stati meticci e questo ci ha probabilmente reso così speciali, innovativi, spesso invidiati. Gente con la stessa religione? Ma ogni volta che abbiamo negato questa diversità abbiamo scritto le pagine più brutte della nostra storia! Allora cos’è un popolo? Quando hanno cominciato a scrivere la Costituzione c’erano idee diverse. La cosa meravigliosa, all’inizio del sogno è stata che gli autori della Costituzione si sono accorti che si poteva rispondere solo mettendo insieme alla propria idea quella degli altri. Che nell’idea degli altri si rispecchiava la bellezza della propria idea. Persona, diritti, libertà... Nella Costituzione questo popolo ha le idee chiare su come vuole essere, anche se oggi si gioca pericolosamente a dimenticarle. Ogni persona ha diritti che non gli vengono concessi o regalati. Li abbiamo perché esistiamo. E questo Paese, con le sue istituzioni, se ne accorge, riconosce questi diritti: articolo 2. Il senso del nostro stare insieme è demolire tutto ciò che ostacola la nostra umanità: articolo 3. E leggete pure l’articolo 4 che è un rafforzativo dell’articolo 1. Ma ancora, che popolo vogliamo essere? Rileggete gli articoli 10 e 11. Articolo 10. Noi abbiamo deciso di essere un popolo accogliente, che aiuta e protegge chi ancora vive l’incubo. Abbiamo scelto di non essere sordi e ciechi di fronte alla sofferenza. Di essere un popolo che ha un cuore di carne e non di pietra. Giudicate voi il tempo presente, leggendo queste pagine. Articolo 11. La guerra non fa per noi, ne abbiamo nausea. Al massimo la ipotizziamo come forma di difesa – perché esistono forme di difesa che non sono violente. Anche qui giudicate voi il tempo presente. Avete compiuto 18 anni o li compirete entro pochi mesi. Probabilmente in famiglia vi hanno fatto dei regali e voi avete fatto festa. Oggi vi viene consegnata la Costituzione della Repubblica italiana. È il regalo più bello e più importante per i vostri 18 anni. È un sogno vero da vivere insieme sino in fondo e da regalare un domani ai vostri figli. L’augurio è che negli anni che verranno siate proprio voi a raccontare la bellezza di questo sogno vero ai diciottenni del futuro». Grazie per l’attenzione, direttore. Buon lavoro a lei e ai suoi collaboratori.
Bernardo De Santis Capriva del Friuli (Go)