La corsa alla residenza nei paesi terremotati e la carenza di dignità
venerdì 29 settembre 2017

La procura di Rieti indaga su 120 richieste di trasferimento di residenza dopo il sisma del 2016. C’è il sospetto che vogliano incassare il contributo destinato a chi ha perduto tutto. Prima ancora che di onestà, è una carenza di dignità che si scorge in questa storia. Che dignità ti resta se sai di rubare? C aro Avvenire, trovo sconcertante che chi doveva autorizzare i rimborsi post terremoto non si sia accorto che numerosi cittadini avevano chiesto la residenza nella seconda casa di Amatrice subito dopo il sisma, allo scopo di prendere i rimborsi. Ben 120 persone hanno imbastito questa truffa ma nessuno si è preoccupato di verificare se le richieste di residenza fossero antecedenti al terremoto. Non è possibile! Adesso bisognerà pure spendere per recuperare i soldi non dovuti.

Roberto Nuara - Monza

Forse, fra cronache che raccontano di giunte comunali lombarde infiltrate dalla ’ndrangheta e di professori universitari accusati di spartirsi le cattedre, può sembrare una notizia minore quella venuta in questi giorni da Rieti. La Procura locale indaga sul caso di 120 richieste di trasferimento di residenza nei paesi di Accumoli e Amatrice, di poco successive al sisma del 2016. Perché della gente che viveva in zone non terremotate doveva avviare queste pratiche? Si tratta di proprietari di seconde case, effettivamente danneggiate dal sisma, e però case di villeggiatura. Un tentativo di incassare il Cas, Contributo di autonoma sistemazione, erogato dalla Protezione civile a quanti, avendo perduto il tetto, dovevano trovare una sistemazione per vivere. Una somma mensile, questo Cas, variabile tra i 240 e i 900 euro. Ora l’ipotesi di reato su cui indaga la Procura di Rieti relativamente a 120 persone è falso, e truffa. Una “piccola” frode, se vogliamo in confronto a tangenti da decine o centinaia di migliaia di euro: e però, che sapore di amaro. C’è tanta gente che nel terremoto ha perso davvero tutto, affetti, casa, lavoro, e tu, che abiti altrove, che non hai provato lo sfollamento nelle tende e la disoccupazione, ti metti in coda insieme a loro, per percepire il medesimo loro aiuto. Forse è la vecchia idea di uno Stato, di una res publica da mungere finché ce ne sia la possibilità, e come incolpevolmente, quasi che rubare alla comunità fosse un rubare a nessuno. Eppure qui la comunità a cui sottrai risorse è il popolo degli sfollati, di coloro che con quella scossa hanno perduto volti amati, ricordi, e spesso anche ogni prospettiva. Se ci pensi, ti turba meno l’idea di una tangente milionaria che questo spintonare e mettersi in fila davanti ai poveri. Prima ancora che di onestà, è di dignità che si scorge una carenza nella storia di Rieti. Che dignità ti resta, se sai di rubare a chi non ha più niente? Ma chissà se, nelle frettolose pratiche per il cambio di residenza, qualcuno di quei 120 si è posto la questione. Forse non ne hanno avuto il tempo. Guardarsi allo specchio, farsi un esame di coscienza è un’abitudine che pare venuta meno. Nel nostro mondo sempre “collegato” a tutti e a tutto viene a mancare, talvolta, un “collegarsi” sincero, senza bugie, con se stessi.

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