Caro direttore,
la cronaca stupisce. Almeno è quanto prova Furio Colombo, che – domenica sul "Fatto quotidiano" – chiama «celebrazione di regime» (e molto altro) la cronaca riportata da Avvenire della visita della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Renato Schifani, a San Patrignano, la scorsa settimana. È in realtà Colombo a stupire. Grandemente turbato dal racconto – né più, né meno – di quanto accaduto nel salone che il 26 giugno ha ospitato il pranzo della comunità terapeutica, ha in tutta evidenza perso lucidità.
È possibile che, al di là della propria stessa volontà, dopo tante primavere di lavoro, si rischi di confondere ciò che si vede e si legge... Però, che un giornalista (così viene definito Furio Colombo, proprio come me...) sia turbato dalla banale verità di un fatto realmente accaduto, e che lui non ha seguito in diretta, induce a qualche cattivo pensiero e una certa inquietudine: certamente sbagliati, per carità. Eppure assai insistenti. Specie ricordando la storia professionale gonfia di onori e di corti politiche e aziendali frequentate da Colombo.
Ti scrivo questo, caro direttore, perché come cronista e – da qualche anno – come inviato di questo giornale resto convinto che ancor più nel racconto di una visita tra il dolore e gli errori di giovani uomini, la strada maestra resti solamente quella di mettere in pagina la verità. È troppo se concludo che, magari, non averla sempre rigorosamente percorsa aiuta a dimenticarla e, soprattutto, illude che anche gli altri la evitino?
Pino Ciociola
Effettivamente penso che un po’ forte il tuo dubbio lo sia, caro Pino. Furio Colombo è un collega di grande esperienza, ha ricoperto ruoli importanti, ha fatto buon giornalismo e battaglie a viso aperto. Spesso con durezza, ma con un riconoscibile tratto di eleganza. Nei tuoi confronti (ma già in altre passate occasioni nei confronti del giornale d’ispirazione cattolica che oggi io ho l’onore di dirigere) si è dimostrato non all’altezza dei suoi trascorsi e della sua fama. Capisco la tua sorpresa e la tua indignazione. È stato ingiurioso, poco e male informato eppure sentenzioso e senza misura. Ti rivelerò un non-segreto, appreso (e mai più dimenticato, a render più pesanti i miei stessi errori) non nelle capitali (e tra i capitali) che contano, ma nei giornali di provincia dove ho cominciato a fare questo nostro mestiere guardando in faccia la gente di cui scrivevo. Per un giornalista il trinciare giudizi senza sapere di che cosa parla e di chi, e senza essere stato "sul fatto", è la volgarità somma. Me ne dispiace, per te, ma persino di più per chi ha fatto e fa questo errore. Furio Colombo compreso.
P.S. Una piccola malizia conclusiva. La lettera che ha dato il "la" all’illustre collega per l’intemerata contro di te e, naturalmente, contro «il giornale dei vescovi», è firmata soltanto "Wilma". Che dire? Forse il cognome della signora è "La Clava". O forse la clava era semplicemente l’intenzione del rubrichista...