Le festività pasquali hanno fatto risuonare, in più momenti, l’annuncio evangelico di pace, di amore e di fratellanza. Ha fatto riflettere e pregare, in silenzio, la Via Crucis al Colosseo: con la croce portata da una donna ucraina e una russa. Il Papa ha invocato, con forza, la riconciliazione. Eppure c’è stato chi non ha capito e ha criticato. Tra i non cristiani ci sono coloro che vorrebbero un Papa-cappellano delle Armate occidentali: banditore di crociate. Ma anche tra i cattolici ci sono state incomprensioni. Si fa fatica ad accettare la Chiesa madre e maestra: madre di tutti – di Caino e di Abele – e maestra di perdono, di misericordia e di pacificazione.
Ma se la Chiesa non fosse questo, renderebbe vana la Croce, tradirebbe il Vangelo, sarebbe sale insipido. Nell’età contemporanea spesso il magistero pontificio di pace non è stato immediatamente compreso. Già Benedetto XV, che definì la Prima guerra mondiale una «inutile strage», provocò, per questa definizione, l’irritazione dei vertici militari e politici italiani (come si poteva chiedere ai soldati italiani di rischiare la vita e morire per qualcosa di inutile?). Ma anche i cattolici francesi e belgi non capivano il Papa e il suo predicare la pace.
Ma come! – pensavano – la Germania ha violato la neutralità del Belgio, del cattolicissimo Belgio. Non ci servono dal Papa parole di pace, ma di condanna della Germania! E si definì perciò, da alcuni, il Papa come filotedesco. Un famoso tomista francese, padre Sertillanges, predicando a Notre-Dame, affermò che i cattolici di Francia non credevano alla pace di riconciliazione proposta dal Papa e si ponevano nei suoi confronti come il figlio apparentemente ribelle del Vangelo: «Santo Padre, noi non vogliamo la vostra pace». Anche Pio XII non fu compreso.
Egli tentò fino alla fine di scongiurare lo scoppio della Seconda guerra mondiale: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra». Così i fascisti gli rimproveravano che nelle chiese si pregasse per la pace e non per la vittoria italiana. Gli antifascisti gli rimproveravano di non nominare e non condannare esplicitamente Hitler, l’aggressore della cattolica Polonia (e ancora del cattolico Belgio neutrale).
E, successivamente, vi furono, postume, le accuse di silenzio rispetto alla Shoah. In realtà, la linea della Santa Sede era ed è sempre, sicuramente e senza tentennamenti, una linea di pace. Maestra nell’indicare i princìpi di giustizia, di non aggressione, di rispetto dei diritti umani di tutti, nel condannare violenze e nazionalismi esagerati. Madre nel porsi fuori dalla mischia, con amore verso tutti, buoni e cattivi, aiutando le vittime di tutti i fronti, seppellendo i morti di tutte le parti, portando soccorso, sostegno, supporto a tutti i piccoli, con un’opera di conforto spirituale, morale e materiale.
Chi voleva ascoltare la Chiesa-Maestra non aveva dubbi: non poteva stare dalla parte di violenti e di aggressori. Così quando venne il momento della scelta, tanti giovani cattolici militarono nella Resistenza. Nello stesso tempo, come Madre, la Chiesa apriva le braccia verso tutti: i parroci si ponevano come mediatori tra tedeschi e partigiani, le comunità ecclesiali nascondevano prima gli ebrei e gli antifascisti e poi anche i fascisti che fuggivano da vendette postume.
Questa posizione di coerenza evangelica ha fatto sì che dopo questi giganteschi eventi bellici mondiali, le parole di riconciliazione, di perdono e di pacificazione siano state comprese e abbiano avuto un’importanza storica significativa: soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, quando più vasta e universale doveva essere l’opera di ricostruzione delle coscienze, dei popoli, delle istituzioni internazionali. Ma sono state comprese perché avevano avuto l’evidenza della prova storica: perché erano state proclamate prima, nel cuore del conflitto, anche a rischio dell’incomprensione, mostrando una limpida e forte coerenza evangelica. E così è stato anche ai tempi della guerra fredda.
Giovanni XXIII e Paolo VI sono stati perfino considerati e pubblicamente definiti 'comunisti' perché, come pontefici dell’Ecclesia Mater, rifiutavano di appiattirsi su logiche occidentaliste e dialogavano anche con i dirigenti sovietici. E la voce della Chiesa-Maestra era, comunque, sempre limpida e chiara: dalla Pacem in Terris di papa Roncalli al grido di papa Montini all’Onu: «Mai più la guerra! Mai più la guerra!». Parole che risuonarono anche con Giovanni Paolo II: che fu sgradito ai regimi comunisti per la sua difesa dei diritti umani e fu sgradito agli Usa per la sua condanna della Guerra del Golfo.
Fosse stato ascoltato, forse le relazioni internazionali avrebbero avuto un’evoluzione più positiva. I piccoli e i poveri avrebbero sofferto di meno. E la pace sarebbe stata più forte. Papa Francesco, continuando con originale fedeltà la via dei suoi predecessori, non fa che indicarci il cuore del Vangelo e annunciarci il Dio di Gesù, che è Amore. Per questo la pace, per i cristiani, è così importante e richiede coerenza. Perché è un trascendentale di Dio: Dio è Pace. In Lui non c’è la guerra. Dona nobis pacem.