Caro direttore,
leggo 'Avvenire' da alcuni anni e le dico sinceramente che non sento il bisogno di cambiare giornale, in quanto il suo è uno dei rari quotidiani nazionali non ideologizzati e non gridati. Il che, nel contesto italiano, è in pratica un primato. In particolare sono affezionato alla rubrica delle 'lettere al direttore', perché sono scritte da persone comuni che parlano dei loro comuni problemi. Le dirò; stasera io e mia moglie eravamo particolarmente stanchi (poi capirà il perché) e, mentre lavavo i piatti e mia moglie badava a nostro figlio (4 anni), ripensavo a questa giornata e mi sono accorto che, in quasi 50 anni di vita, non avevo mai scritto una lettera a un giornale. E allora ho pensato che stasera sarebbe stata la prima volta.
Scrivere, intendo, non tanto per chiedere una risposta o una soluzione, ma solo per parlare con qualcuno che ascolta e capisce le difficoltà delle persone comuni.
Le spiego. Qualche settimana fa nostro figlio ha avuto una brutta otite. Pronto soccorso, antibiotici, e poi controllo dal pediatra, il quale ritiene che la cosa si sia risolta. Cessato allarme, insomma, almeno secondo lui. Ma come potrà immaginare, caro direttore, in Italia, oltre a diventare uomini di mondo, si diventa anche un po’ medici e, malgrado la diagnosi favorevole, decidiamo di approfondire. Il che significa aprire il portafogli. Inutile passare per la Usl, l’appuntamento ce lo darebbero chissà quando e l’orecchio del ragazzino non può aspettare. Alla fine la nostra diagnosi/intuizione si rivela corretta: timpano perforato. Ulteriori cure in gran parte a nostro carico (i medicamenti necessari non sono erogati dal Servizio sanitario o, se lo sono, tanto vale comperarli privatamente, tanto il prezzo è più o meno lo stesso). Ulteriore visita a pagamento: bisogna operare. Ulteriore intuizione del nostro savoir vivre italico: stavolta è il caso di andare dal classico luminare. Una mazzata ma, si sa, i figli «so’ piezz’e core». Il luminare per decidere se operare subito o attendere quando il bimbo sarà un po’ più grande, ha bisogno di un particolare esame. Ci spiega che si tratta di una metodica d’avanguardia che è a carico 'dello Stato' solo nella zona di Brescia, dove opera un altro luminare che, in qualche modo, è riuscito a ottenere dallo 'Stato' questo particolare trattamento per i suoi pazienti. È ovvio che non possiamo arrivare a Brescia (che ci risulta si trovi comunque sempre in Italia, in questo 'Stato' di cui Roma sembra sia la capitale) per cui facciamo l’esame qui, nella nostra città. Nuova mazzata, più pesante di quella assestataci dal luminare il quale, comunque, almeno su di un punto ci rassicura: per l’esame del referto non si paga. E poi, se non altro, tutte queste spese sono state regolarmente fatturate, il che è già qualcosa.
Per cui, mentre lavavo i piatti e ripensavo a quanto le ho raccontato, mi sono passate per la testa alcune considerazioni: 1) Io e mia moglie siamo due comunissimi dipendenti pubblici (e, di conseguenza, fannulloni, mangiapane a tradimento, imboscati, ecc ecc). Io però mi alzo da quasi 25 anni tutte le mattine alle 6,30. Ho due lauree e non arrivo a 1.300 euro al mese. Mia moglie invece è insegnante, e tra andata e ritorno da scuola, ogni giorno macina circa 80 km di autostrada (a sue spese e con la sua macchina: i mezzi pubblici sono inutilizzabili, dovrebbe alzarsi prima dell’alba). A settembre, probabilmente, i km saliranno a oltre 100. Nel corso degli anni per due volte in autostrada ha rischiato la pelle. 2) Abbiamo sempre versato fino all’ultimo centesimo di tasse le quali, da noi pagate ogni mese in anticipo, dovrebbero coprire i costi della nostra assistenza sanitaria.
Invece no: dopo avere pagato tutto abbiamo dovuto nuovamente ri-pagare per curare nostro figlio. 3) In pochi giorni, abbiamo così speso oltre 600 euro e ci siamo anche sentiti chiedere se avevamo un’assicurazione privata.
Per cui chi ha i soldi per potersela permettere... risparmia. Chi non li ha, come nel nostro caso, deve per forza... pagare di più.
Con quei soldi dovevamo fare una settimana di vacanza, abbiamo ovviamente rinunciato.
Poi, ho acceso la tv e ho avuto l’impressione di vivere su di un altro pianeta, sul quale i nostri miserrimi problemi sembravano non esistere.
1) Il temutissimo spread, che tormentava i sonni della nazione, sembra essere sparito. 2) I 400mila esodati, creati ex nihilo dai 'tecnici', sono scomparsi da tutti gli schermi radar. 3) I milioni di persone che attendono il rinnovo del proprio contratto di lavoro sembrano non esistere (e comunque i 'mercati' non sarebbero d’accordo, per cui guai a pensarci).
4) I marò sono sempre in India e ci resteranno ma tanto nessuno ne parla più.
Al momento, dunque, le priorità nazionali sembrano essere. 1) I dissidenti kazaki. 2) Lo ius soli. 3) I matrimoni omosessuali e le coppie di fatto. 4) L’omofobia. 5) I bisticci stile asilo d’infanzia tra notabili di partito. 6) L’ennesimo processo a Berlusconi. 7) Miss Italia sì, miss Italia no.
Alla luce di quanto sopra capirà, direttore, che mentre lavavo i piatti ho provato un fastidioso senso di disgusto nei confronti di una classe politica che, nella sua quasi totalità (non è una questione di colore politico), è totalmente assorbita dai propri privilegi e dalle proprie piccinerie. È questo senso di disgusto che mi ha spinto – per la prima volta nella vita – a scrivere al direttore di un quotidiano nazionale. Mi scusi se le ho sottratto del tempo ma stasera mia moglie è più stanca di me e io dovevo per forza parlare con qualcuno. La ringrazio per avermi ascoltato e le stringo la mano.
Fabio Faggioli, Roma
E io semplicemente ricambio la stretta di mano, caro amico, con simpatia e condivisione. Credo che la sua lettera sia un ottimo pro-memoria per chi ci rappresenta e ci governa. Se l’ancor giovane Parlamento, come la sua parte migliore già fa, non si dimostrerà coralmente in grado di mettere gli occhi sui problemi veri della gente vera del nostro Paese e se non rinuncerà a farsi arena e palcoscenico per iniziative propagandistiche e per l’esibizione dei più affettati tic ideologici del nostro tempo (tutti all’insegna di un assillante e sterile 'politicamente corretto'), temo che la distanza tra Paese reale e Paese legale finirà per farsi voragine. Sarebbe una rovina doppia: per la nostra democrazia e per tante, già troppo impoverite, famiglie come la sua.
Non possiamo permettercelo, se lo ricordino coloro che bene o male (soprattutto male, vista la legge elettorale ancora vigente) abbiamo eletto.