Il ct Spalletti tra i tifosi azzurri - Ansa
L'avventura dell'Italia agli Europei di Germania 2024 comincia stasera alle 21 e come direbbe il grande “Bisteccone” Galeazzi, «siamo tutti Azzurri!». Stringiamoci a coorte allora e ringraziamo in primis le Poste Italiane che ieri mattina hanno azzurrato tutte le prime pagine dei quotidiani, ricordandoci, almeno per un giorno, quello della vigilia di Italia-Albania, che noi italiani «siamo fatti della stessa stoffa». Del resto chi non si sente forgiato della stessa stoffa di un Dimarco? Su uno dei grattacieli “fine lavori mai” di Milano, campeggia una gigantografia con il cursore dell’Inter che forse in memoria della vecchia proprietà cinese ricorda i drappi ciclopici che celebravano Mao Tse Tung.
Ripartiamo da campioni d’Europa in carica, ma se lo ricordano in pochi, perché con un Mancini d’Arabia fuggito a sorpresa e soprattutto con la morte dell’uomo in più, Gianluca Vialli, ci siamo sentiti tutti più orfani e molto meno campioni. Quel titolo strappato, a sorpresa, ancora sotto Covid, ha avuto un effetto vaccinale blando contro il viralissimo pessimismo cosmico che anima da sempre i potenziali 60 milioni di ct italici. Non siamo una «squadra fortissimi» come cantava tanto tempo fa Checco Zalone, ma non siamo neanche i peggiori del mazzo. Del resto la leggenda azzurra Angelo Domenghini insegna che «in un calcio tutta corsa e fisico la nostra Nazionale parte alla pari». Il potere alla fantasia a Coverciano è stato abolito, ma per mancanza di un Bellingham. La scuola italica continua a sfornare corazzieri della difesa modello Bastoni e Buongiorno, gente che ha respirato cultura salesiana e che prima di rispondere alla chiamata del ct Luciano Spalletti ha dato anche un esame di Economia. Questo il dottor Buongiorno, e se il buongiorno si vede dalla difesa allora Donnarumma può stare tranquillo.
A centrocampo è il reparto in cui stiamo messi meglio con il vecchio playmaker Jorginho all’ultima corsa ma con i galloni del miglior giocatore di Euro 2021. Al suo fianco Barella che se fosse nato e cresciuto nel Barcellona ora si parlerebbe del nuovo Xavi. E poi occhio al rientro di Fagioli che dovrebbe aver capito la lezione (squalifica per scommesse on line) ed è pronto a giocarsi la sua chance da uomo della rinascita. Davanti tutti si aspettano i gol dal pennellone Scamacca che all’Atalanta con Gasperiniterapia è diventato un bomber internazionale e questa dovrebbe essere la sua competizione. Gli scettici dicono che c’è poco “colore”, e quindi meno talento nella Nazionale di calcio rispetto a quella afroitaliana di Atletica che sulla pista dell’Olimpico di Roma ha coniato ori europei manco fosse la Zecca di Stato. È vero non ci sono i Jacobs e gli Ali, nel ritiro azzurro di Spalletti c’è solo il colored Folorunsho e l’altro figlio di stranieri nato e cresciuto in italia è il Faraone El Sharaawi. Eterno Peter Pan El Sharaawi ripescato a 31 anni, uno in meno di Jorginho, per quella che può essere davvero la sua ultima occasione in maglia azzurra.
Ora o mai più, sembrano dire a se stessi tanti dei protagonisti di quest’Italia indecifrabile, ma pur sempre in linea con la tradizione che ci vuole o campioni o bidoni. Spalletti filosofeggia da par suo e boccaccesco sa che questo Europeo è una palestra per preparare il gruppo che dovrà tassativamente strappare il pass per i Mondiali del 2026. Uscire al primo turno, perché scacciati dalle reginette del nostro girone Spagna e Croazia, non sarebbe così scandaloso quanto invece mancare ai Mondiali per la terza volta di fila. I corvi, che non sono mai azzurri, aspettano sui rami la debacle spallettiana per rinfacciare ancora al presidente Gabriele Gravina che quest’Italia non va, a cominciare dalla panca fino alla sala dei bottoni. Eppure giova ricordare che il calcio italiano non è stato mai in forma come in questa stagione. Due finaliste europee, Atalanta vincitrice dell’Europa League e Fiorentina che ha perso la Conference League ma se l’è giocata fino alla fine per il secondo anno di fila. E se un movimento calcistico si giudica dalle risorse future, alias i giovani, allora bisogna aggiornare il palmarès che ci vede campioni d’Europa con l’Under 17 e l’Under 19 e vicecampioni del mondo con l’Under 20. All’orizzonte piccoli fenomeni crescono, vedi il milanista Camarda, e l’unica strada farli diventare grandi e far crescere il calcio italiano, tutto, è avere fiducia in questi ragazzi, scommettere sul loro lancio con debutti precoci, in linea con il resto del calcio del calcio europeo. Buon Europeo a tutti, anche a chi è di una stoffa diversa.