In un anno 15mila nati in meno, 120mila che mancano, dal 2008, dice l’Istat. Traiettoria che pare inarrestabile. Un declino: un Paese senza figli è in declino. Leggi questi numeri su un tram della linea 1 che traversa il cuore di Milano. Sono le nove e la città corre, lavora, vive nei passi della gente che risale quasi di corsa le scale del metrò. Declino? Qui il declino non si vede. Il tram procede verso Cadorna e il Parco, traversa bei quartieri borghesi e case d’epoca da cui trapela un solido benessere. Declino? Non sembra, o almeno i grandi portoni di legno massiccio non lo lasciano trapelare.
Poi il tram accelera e svolta per Espinasse, tu scendi. Qui a destra comincia la Cagnola, quarant’anni fa quartiere operaio: dignitose case popolari nei cui cortili giocavano frotte di bambini. Nelle corti spesso, in un angolo, c’è ancora un’edicola con una Madonnina. Ma quella Cagnola non c’è più, da un pezzo. Dalle case spesso senza ascensore, con le scale anguste, le giovani famiglie se ne sono andate nell’hinterland. Sono rimasti i vecchi. Quando muoiono, gli eredi vendono: è una sequela di cartelli 'vendesi', sui portoni. E, dentro, piccoli locali colmati dai massicci armadi di una volta.
E, in ogni casa, immagini di papa Giovanni, e Padre Pio. Non che fossero tutti credenti, da queste parti. Ma quei due, si vede, erano facce trasversali. I cortili sono silenziosi, le officine chiuse, qualcuna è diventata un 'loft', comprato a caro prezzo da benestanti. Rara, però, questa tipologia di nuovi abitanti. Il popolo della Cagnola ora è in buona parte cinese. Sono le giovani mamme che spingono passeggini a due posti, uno per l’ultimo nato, uno per il fratello di due anni. Come faranno, sulle scale strette, con due bambini, e le borse della spesa? La fatica delle milanesi di un tempo è oggi la loro.
Al posto delle vecchie botteghe, piccole sartorie, alimentari, lavanderie. Per quaranta euro, accanto, ti riparano un cellulare. Immagini un lavoro duro, spesso in nero, senza orari. Le tute blu, gli scioperi, i minimi sindacali, in confronto un’aristocrazia proletaria. Questo angolo di Milano l’hanno ereditato gli stranieri più poveri. Che, tuttavia, hanno figli: i giardinetti di Console Marcello al pomeriggio sono pieni di bambini. Per metà cinesi e per metà arabi, le mamme col velo in testa.
Perché più in là, verso piazza Castelli, i tratti si fanno mediorientali e maghrebini. Anche qui quanti 'vendesi', sui portoni. Nelle case di ringhiera puoi imbatterti nelle antiche due stanzette di un sarto venuto su dal Sud negli anni Cinquanta. E ancora, incredibile, c’è la sua vecchia Singer nera: dei tempi in cui i meridionali li chiamavano terroni, e li guardavano come invasori. (Come, pensi, quella differenza si è appianata, certo a costo di umiliazioni e di fatica, e come, oggi, non distingui più i nipoti degli uni dai nipoti degli altri). Per queste strade i bambini ora hanno gli occhi a mandorla, o la pelle ambrata.
Qui è assente proprio una generazione di milanesi, oppure due: giacché, come sottolinea l’Istat, mancano i figli anche perché mancano le mamme, le italiane che dagli anni Settanta in qua non sono nate. Restano, in queste antiche roccaforti popolari, i più vecchi, che trascinano adagio un carrello della spesa mezzo vuoto. E i figli? E i nipoti? Nell’hinterland, già. Anche se questi nonni spauriti nell’attraversare la strada, sembrano proprio soli. Mancano in tanti, qui dove fanno capolinea i tram per il centro. Là, fra turisti e vetrine del lusso, ci si può non far caso. Ma qui, quel pezzo che non c’è lo tocchi con la mano.
Così quando, inaspettata, una schiera di bambini cinesi esce da un oratorio, vociando, ridendo, finito il doposcuola, fra te ringrazi i loro genitori, e anche chi li cura, in queste ore pomeridiane. Stanno trovando dei maestri, stanno trovando chi vuole loro bene e li ha a cuore, e se sarà ancora così, anche quest’onda che a tanti fa paura col tempo si appianerà. E, magari, fra una generazione, si farà fatica a distinguere fra loro e quelli che c’erano già e non ci sono più stati abbastanza. E insieme saremo 'noi', indistinguibili. (Non fosse per quei nerissimi occhi a mandorla che ti fissano dai passeggini a due posti, alla Cagnola, curiosi e ignari).