Gentile direttore,
ho mille motivi per scriverle, ma devo scegliere. Le dico due cose. 1) Grazie ad "Avvenire" perché esiste ed è un "vero" giornale. Quanto bene fa al mio cuore e alla mia intelligenza della realtà e della vita! 2) Devo sollevare una questione riguardante la famiglia e so che il suo giornale è l’unico davvero sensibile a questo tema. Sono un ingegnere della Fiat in Cassa integrazione dal 1 marzo del 2012, ho un marito a sua volta ingegnere, libero professionista alle prese con una crisi nera che in Sicilia assume proporzioni apocalittiche. Abbiamo sei figli tra i 16 e i 6 anni. Viviamo sulla nostra pelle e condividiamo la preoccupazione per lo stato in cui versa la famiglia in Italia e siamo volontari per la vita e per la famiglia, in parrocchia e in movimenti impegnati nel sociale proprio per occuparci, oltre che preoccuparci, del problema. Oggi viviamo un’altra grave ingiustizia. Ci vengono tolti gli assegni familiari (con 42.000 euro di reddito e 6 figli ci spetterebbero 550 euro al mese se il nostro reddito venisse per il 70% o più da lavoro dipendente). Poiché i miei figli hanno due genitori, uno dipendente, io, che essendo in cassa integrazione (Cig) guadagno un terzo del mio stipendio (quindi abbasso la mia quota di reddito da dipendente, mio malgrado), e uno autonomo che l’anno scorso ha avuto una entrata superiore al 30% del reddito familiare, a loro non spettano gli assegni. I figli di lavoratori autonomi (dal 30% al 100% del reddito familiare) non hanno diritto agli assegni familiari, anche se hanno un reddito che rientra nella tabella 11 dell’Inps. Nei 20 anni in cui io lavoravo questa situazione si è presentata sempre tranne che negli ultimi 3 anni, quando sfortunatamente (meno male per gli assegni…) mio marito ha avuto scarse entrate, al di sotto del 30% del reddito familiare. Ritenevo che ci fosse una ingiustizia, ma non ero nel bisogno e, lavorando, non avevo tempo di protestare (le famiglie subiscono anche perché hanno tante cose a cui pensare). Oggi questa ingiustizia nei confronti dei miei figli, causata dalle caratteristiche del nostro lavoro mi brucia, mi preoccupa e mi fa arrabbiare. Mi chiedo perché il lavoro autonomo non viene ritenuto meritevole di considerazione riguardo agli assegni. A parte la delusione di avere faticato tutta la vita, da studenti, da lavoratori, da coniugi e da genitori per ritrovarci poi a essere "inutili" per la società: io mantenuta a casa con un trattamento di Cig che ci è indispensabile perché ci fa scampare la fame e mio marito professionista rispettoso delle leggi, ma con poco lavoro e per lo Stato "evasore a priori". A parte questo dicevo, brucia la ingiustizia nei confronti dei nostri figli, cittadini di "serie B" rispetto ai figli di due insegnanti o due impiegati qualsiasi. Stringeremo la cinghia (550 euro sarebbero stati utili), ma con quale entusiasmo e credibilità diremo loro che è giusto impegnarsi, sacrificarsi a studiare, lavorare, rispettare le leggi, amare questo Paese? Lei ha solo il potere di fare un bel giornale, non potrà aiutarci più di tanto, ma le saremmo grati se riuscisse a fare sapere cosa accade nel Paese reale a gente come i presidenti Napolitano e Renzi e a tutti i deputati e senatori, impegnati a discutere cose importanti, ma che servono a poco se i loro cittadini non saranno sopravvissuti a questa crisi... Grazie in ogni caso per avermi letto.
Angela Provenzale, Mistretta (Me)
Grazie a lei, cara signora Provenzale, per la considerazione che riserva al nostro lavoro. E grazie per questa testimonianza che sento scritta col cuore e, soprattutto, con la competenza di chi le cose di cui parla le vive – come lei sottolinea – «sulla propria pelle». Sono anche sicuro che nessuno prenderà fischi per fiaschi leggendo nelle sue parole una polemica con altri lavoratori che la legge attuale favorisce di più (o, meglio, sfavorisce di meno) nel riconoscimento di quel po’ di sostegno che viene garantito dal sistema degli assegni familiari. Lo spirito e la lettera del suo amarissimo grido di dolore sono ben altri, non equivocabili e meritevoli di piena attenzione. Spieghiamo da anni su "Avvenire", citando esperienze concrete e non mere opinioni, che la politica per la famiglia o sarà robustamente autonoma da ogni altra logica (compresa la sacrosanta lotta alla miseria) o non sarà mai vera e, quindi, non risulterà efficace e utile all’Italia e agli italiani. Evito, allora, di ripetere considerazioni già fatte molte volte e non mi dilungo sulla necessità che il nostro sistema fiscale diventi finalmente "amico della famiglia". Vorrei invece limitarmi a una sottolineatura che mi sta molto a cuore in questo duro tempo di crisi (e di penuria di risorse pubbliche) in cui ogni forma di egoismo pesa almeno il doppio. La penalizzazione che subisce suo marito, lavoratore autonomo in difficoltà e contribuente fedele, è anche il frutto malato delle scorrettezze fiscali di altri lavoratori autonomi magari niente affatto in difficoltà. Colui che evade non conserva e nasconde nelle proprie tasche, come si sente dire, soltanto «soldi suoi», ma si appropria anche di un po’ di ciò che spetterebbe ad altri, a tutti quei cittadini che – come lei e suo marito – rispettano le leggi e pagano il dovuto, ma subiscono le conseguenze della penuria di risorse e di sovrabbondanza di sospetto generate dalle "furbizie" dei contribuenti infedeli. Insomma, gentile e cara ingegnere, suo marito con l’intera sua famiglia viene trattato da «evasore a priori» (e questo è, comunque, ingiusto) per colpa di tutti coloro che evasori lo sono sul serio. Sia chiaro che non sto di certo pensando a quelli che ho più volte definito gli «evasori senza allegria», cioè a quanti si arrabattano al limite della sopravvivenza delle proprie attività e delle proprie famiglie. Anch’io, infatti, ritengo che il livello dalla pressione fiscale sia diventato così alto da ingigantire i problemi invece di risolverli. Per questo sono con quanti continuano a invocare un fisco che rovesci certe sue logiche sanzionatorie, smettendola di dare quasi solo la caccia ai disonesti (con armi spesso spuntate nei confronti dei grandi evasori) e cominci, una buona volta, a premiare gli onesti (troppe volte guardati, come nel caso della sua famiglia, con gelida sfiducia). Ma non posso proprio fare a meno di rimarcare che all’origine di tutto c’è quest’altro eccesso: l’evasione immorale e menefreghista. Che è sorella gemella della cattiva (e rapace) amministrazione pubblica, ma a differenza di quella gode ancora di troppe indulgenze e, perciò, continua a fare troppi danni. Detto questo, lei fa benissimo – e lo fa con uno stile e una forza che ammiro – ad alzare la voce per proporre a coloro che ci rappresentano e ci governano, e direttamente al capo dello Stato e al presidente del Consiglio, le ragioni delle famiglie miste lavoratori dipendenti-lavoratori autonomi e le ragioni dei suoi sei figli. Che non sono affatto ragioni di "serie B". Ciò che state subendo si spiega, ma non si giustifica. E io amplifico per quel che posso la sua voce, e mi auguro con lei che venga ascoltata come merita.