Internet si è rotto. La Rete che doveva connettere il mondo, facendo circolare le idee migliori, ha finito col premiare chi urla e odia di più, chi truffa, imbroglia o semina il male, a discapito del dialogo, del confronto e di tutto ciò che di buono c’è.
Le persone sono diventate utenti. Da usare, da fomentare, da manipolare (secondo l’Oxford Internet Institute, attraverso i social accade abitualmente in 70 nazioni). Perché litighino, si scontrino e si odino come accade solo tra le peggiori tifoserie. Oppure perché spendano senza sosta per rincorrere continue «offerte incredibili», sempre più mirate ed «emotive». Perché già oggi «gli under 40 non comprano prodotti ma emozioni».
Che internet si fosse rotto l’aveva già detto due anni fa il fondatore di Twitter. Una frase che ha fatto il giro del mondo. Scontrandosi con uno dei mali del nostro tempo: quando qualcosa si rompe, sempre più spesso siamo tentati di cambiarlo. Così ci ha insegnato il consumismo: meglio comprare un nuovo oggetto uguale che ripararne uno rotto. Ma come si fa, se a rompersi è Internet? Come si fa a costruirne un altro? Qualcuno, per la verità, ci ha pensato. Da una prospettiva sbagliata, però. Cioè quella di dare vita a un internet ancor più veloce ed esclusivo, ad appannaggio soprattutto delle aziende più potenti e delle persone più ricche. Un altro Internet fatto per escludere ancora di più, invece che includere.
Per fortuna esistono persone come Tim Berners-Lee, l’inventore del web. Uno che non è mai diventato ricco grazie alla sua invenzione. E che ora, a 30 anni dalla nascita del world wide web e alla soglia dei suoi 65 anni, anziché scegliere la pensione ha deciso di buttarsi in un’avventura ancor più faticosa: salvare internet. Una bella idea. Anzi, un’azione più che mai necessaria. Ma come si può salvare un gigante che ogni giorno viene usato da 4 miliardi e mezzo di persone, cioè dal 58% della popolazione mondiale?
Tim Berners-Lee ha deciso di partire da due concetti molto precisi. Il primo: per salvare la Rete (e per salvarci da questa deriva) dobbiamo darci da fare tutti, dai governi alle aziende fino all’ultimo cittadino digitale. Nessuno escluso.
Non a caso, per lanciare l’iniziativa berners-Lee ha scelto l’Internet Governance Forum che si è aperto ieri a Berlino, davanti i rappresentanti di governi, aziende e società civile di tutto il mondo.
Non solo. Il Contratto è stato sviluppato grazie al lavoro di due governi (Francia e Germania), organizzazioni non profit, grandi aziende come Google e Microsoft e cinque gruppi di lavoro composti da esperti. Il secondo punto è che per salvare Internet serve un «contratto» con poche regole ma molto chiare. Sono nove.
Tre princìpi su nove riguardano i governi: assicurare che ognuno possa connettersi alla rete; fare in modo che tutta la rete internet sia sempre accessibile; rispettare i diritti fondamentali della privacy e dei dati personali. Tre riguardano le aziende: avere sempre prezzi accessibili per i servizi di connessione; rispettare e proteggere la privacy e i dati delle persone per creare fiducia a chi accede alla rete; sviluppare tecnologie che valorizzino il meglio dell’umanità, arginandone i lati peggiori.
Tre riguardano invece i cittadini: essere creatori e collaboratori del web; costruire community forti e rispettare la civiltà del discorso pubblico e la dignità umana; lottare per la rete. Per aderire al progetto è stato creato il sito Contract for the web dove persone comuni e grandi aziende come Google, Facebook, Microsoft, Twitter e Reddit hanno già dato la loro adesione. Ricapitolando: molte persone comuni stanno promettendo di impegnarsi per salvare internet e così molte aziende (anche se alcune magari lo fanno per fare bella figura e non perché ne sono realmente convinte).
Le uniche voci che al momento mancano sono quelle di alcuni governi. Ma dobbiamo avere fiducia. E spingere perché aderiscano. Perché non abbiamo altra scelta: soltanto tutti e insieme possiamo salvare internet.