sabato 25 novembre 2023
Il dibattito pubblico che ha preso le mosse dall’ultimo terribile caso di femminicidio sembra essere finalmente più plurale e foriero di consapevolezze...
Cari uomini insegniamo il valore della sconfitta

ANSA

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Egregio Direttore,
il dibattito pubblico che ha preso le mosse dall’ultimo terribile caso di femminicidio sembra essere finalmente più plurale e foriero di consapevolezze. Quello di Giulia Checchettin ha suscitato forse un’attenzione e una reazione maggiore degli altri – che in Italia si consumano al macabro ritmo di uno ogni tre quattro giorni – per le modalità con le quali si è giunti a constatarlo: protratte per giorni, nella speranza che la povera ragazza fosse ancora viva, rapita dal suo carnefice in fuga. Decine di ore di incessante e ansiogena attenzione mediatica, tutti attaccati alla speranza di ritrovare la ragazza in vita, hanno preparato il campo a maggiore sensibilità nel momento del ritrovamento del cadavere. Tuttavia, non è difficile immaginare il rischio che anche questa volta l’attenzione scemerà: come già troppe altre volte è successo in ordine a questa stessa piaga. I numeri, con i loro limiti, ci raccontano il fallimento dei vent’anni passati: se in Italia gli omicidi volontari sono fortemente diminuiti (erano oltre 700 nel 2004, meno di 500 nel 2013, meno di 200 ora che siamo sul finire del 2023), quelli posti in essere in danno di donne da parte del partner o dell’ex partner non hanno affatto seguito la medesima curva e sono passati dall’essere meno del 10% del totale degli omicidi nel 2004, all’essere il circa il 27% oggi.

E ciò, nonostante i provvedimenti normativi che sono stati adottati in questi anni e il crescere di sensibilità verso il problema. Comprendo l’impulso, oggi, di cercare in ulteriori innovazioni in ambito di diritto penale un argine al problema, ma la sanzione penale è già al massimo della sua capacità di deterrenza: senza alcuna efficacia. Capisco l’invocare, oggi, il superamento di modelli culturali che non riconoscono appieno il valore del ruolo della donna nella società, anche se è veramente difficile non riconoscere gli enormi passi avanti che proprio in tale ambito sono stati fatti negli ultimi vent’anni, senza effetto alcuno sulla piaga del femminicidio. Colgo come inevitabile l’impulso, oggi, a interrogarsi sull’esigenza di introdurre nelle scuole un approfondimento sull’educazione all’affettività, ma non solo per sfuggire alle polemiche, sento il bisogno di interrogarmi prima su quello che devo fare io. Non lo Stato, non la Scuola. Io, genitore di tre ragazzi adolescenti: una femmina e due maschi.

Io, preoccupato per tutti e tre loro in forza della facilità con la quale la cronaca mi consegna esempi di famiglie come la mia che vivono il lutto di una ragazza (ma anche di donne mature) o storie di maschi omicidi: per la fine di una relazione. Mai come in questi giorni, infatti, abbiamo l’occasione di leggere analisi di psicologi, medici, magistrati che ci raccontano come sia l’incapacità di elaborare la fine di una relazione ad armare la mano in questi delitti. E allora mi chiedo dove io debba fare di più, come genitore. Come possa meglio insegnare che la sconfitta e la perdita sono occasioni di consapevolezza, di crescita (da Eschilo a Dostoevskij, ci sono millenni di letteratura a insegnarlo). Che quel vuoto nel quale esse ci proiettano non è un buco infinito privo di prospettive. Che comunque intorno a noi esiste, e si può e si deve alimentare, una rete alla quale aggrapparsi: dalla famiglia agli amici, ai compagni di scuola o dello sport. Una rete idonea a fermare la caduta, a sorreggerci fino a ché ce ne sarà bisogno. Forse il primo passaggio è insegnare a non temere né il dolore, né il pericolo, a non scappare da essi, ma a utilizzarne la conoscenza per aumentare la consapevolezza. Poiché essa sola è il presidio più alto: consapevolezza del valore della vita, propria e altrui, e della sua sacralità.

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