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Nella mappa globale del coronavirus l’Italia si distingue per aver conosciuto un rapido aumento dei contagiati, avvicinandosi prima di altri Paesi alle “vette” cinesi, ma soprattutto per l’elevato numero di morti: 2.978 al 18 marzo, un terzo di tutti i decessi nel mondo. I dati più recenti dicono che i morti nel nostro Paese, ma anche in Spagna, crescono più rapidamente rispetto a quanto avvenuto nelle zone rosse cinesi: il numero di morti italiani in un solo giorno è arrivato persino ad essere superiore al dato giornaliero della cittadina di Wuhan, da dove tutto ha avuto inizio. Il motivo di questo triste primato si deve in gran parte alla struttura demografica del nostro Paese: poiché la Covid-19 è più letale per le età più avanzate, ecco che una nazione con un’età media elevata – e l’Italia è il secondo Paese più anziano al mondo dopo il Giappone – può trovarsi a dover pagare un prezzo maggiore.
Tutto questo però non è sufficiente a giustificare una mortalità così elevata. C’è un’altra ragione, che spiega bene la maggiore fragilità italiana di fronte al coronavirus, e paradossalmente è proprio uno dei suoi riconosciuti elementi di forza: la maggiore relazionalità tra le generazioni, la struttura solida e diffusa delle reti sociali, la resistenza più elevata rispetto ad altri contesti della famiglia “allargata”, dove i contatti tra le generazioni sono più intensi e articolati. In sostanza, la maggiore propensione alle relazioni di un Paese latino, unita al contatti frequenti tra genitori, figli, nonni, nipoti e molti parenti anche anziani, può essere stato un fattore decisivo nella diffusione più rapida del virus e nel causare un maggior numero di decessi.
A mettere in luce questi aspetti è il lavoro di un gruppo di ricercatori – economisti, demografi, sociologi, epidemiologi e biologi – del Centro di Scienze Demografiche Leverhulme, presso il dipartimento di sociologia dell’Università di Oxford, che hanno analizzato l’impatto della demografia sui differenziali di mortalità da Covid-19 nei vari Paesi.
Il rischio di morte per questa patologia è infatti concentrato soprattutto nelle persone con più di 80 anni. In Cina si è visto che il tasso di mortalità è dello 0,4% per la fascia 40-49 anni e sale al 14,8% per gli over 80. In Italia al 13 marzo il dato dava un 10,8% di mortalità per le persone contagiate dal virus tra 70 e 79 anni, del 17,5% tra 80 e 89 e del 21% per gli over 90. Solo il 3% dei decessi ha riguardato persone con meno di 60 anni.
Un team internazionale di ricercatori di Oxford ha mostrato come le reti sociali che caratterizzano la Penisola e le province italiane possono essere un elemento che favorisce la diffusione del coronavirus Bene chiudere le scuole, ma si deve evitare che i ragazzi siano affidati ai nonni, per scongiurare i contagi. Tutelare la 'generazione-sandwich'
«L’ Italia ha una delle popolazioni più vecchie al mondo – spiegano i ricercatori – con il 23,3% della popolazione sopra i 65 anni, rispetto al 12% della Cina. Questa caratteristica spiega come mai Paesi come l’Italia sono particolarmente vulnerabili, nonostante i primi focolai si siano avuti in zone ricche e con buone condizioni di salute della popolazione». Il fatto però è che noi italiani non siamo solo più anziani di altri, ma ci frequentiamo anche molto di più tra le generazioni.
È il nostro bello. Nonni che tengono i nipoti mentre i genitori lavorano, adulti che si prendono cura dei figli piccoli e dei genitori anziani (le cosiddetta “generazione sandwich”), persone che fanno i pendolari per lavoro ma tornano la sera nelle case e nei paesi dove vivono con la famiglia e spesso con i genitori anziani in casa o vicini: una condizione, questa, che secondo i dati Istat interessa circa la metà della popolazione al Nord. l’immagine della provincia e delle comunità italiane, il “come viviamo”, la forza del welfare informale in un Paese che ha sempre bistrattato la famiglia in termini di welfare pubblico, e che tuttavia di fronte a un virus che infetta la maggior parte delle persone senza che queste manifestino alcun sintomo, come avviene nei bambini, rischia di diventare un fattore di fragilità. Non è un caso, in questo senso, che i focolai italiani abbiano caratterizzato soprattutto località di provincia, Lodi, Cremona, Bergamo, dove oltre a un tessuto produttivo di piccole imprese multinazionali molto orientato ai contatti con l’estero, sono ancora presenti legami familiari che nelle grandi città sono più difficili.
«Le forti relazioni e la vicinanza intergenerazionale che caratterizza la nostra società, la coresidenza e i fenomeni di pendolarismo della parte più attiva della popolazione, potrebbero aver accentuato l’epidemia in Italia proprio attraverso le reti sociali e la vicinanza degli anziani con le prime persone contagiate», spiega Valentina Rotondi, economista comportamentale, una delle ricercatrici del team.
A questa conclusione si è giunti analizzando anche i casi di Corea del Sud e Singapore, dove il contagio è rimasto confinato in gruppi giovanili anche per il maggiore isolamento degli anziani in queste società. Così pure il basso tasso iniziale di mortalità in Gran Bretagna si può spiegare col fatto che la parte più dinamica della popolazione vive a Londra, metropoli con una piccola percentuale di over-65 rispetto alle più isolate aree rurali. La struttura della popolazione, dunque, può far prevedere maggiori o minori problemi anche per altri Paesi con situazioni simili a quella italiana. In Brasile, ad esempio, con il 2% della popolazione sopra gli 80 anni, uno scenario simulato arriva a prevedere 478.692 morti rispetto ai 137.489 della Nigeria, dove gli ultraottantenni sono solo lo 0,2%. La struttura per età di un Paese applicata all’epidemia di Covid-19, dunque, sembra associare ovunque una maggiore mortalità e un maggior numero di casi critici dove ci sono più anziani.
Da noi un terzo dei decessi nel mondo non solo perché l’età media del Paese è alta Nelle famiglie le relazioni sono intense e giovani e anziani si frequentano di più
Analisi di questo tipo aiutano a conoscere meglio il nemico che l’umanità sta combattendo: un virus subdolo che contagia moltissime persone senza darlo a vedere, cioè senza far emergere i sintomi della malattia, rendendo così più facile diffon- dersi e colpire i più fragili di una comunità. Un virus che costringendo a porre l’accento sul fatto che si accanisce soprattutto sugli anziani con altre patologie, rischia di spingere surrettiziamente le persone ad accettare una deriva selettiva nella gestione dei casi da trattare. Ma è proprio per questo che anche le risposte pubbliche devono essere adeguate e misurate nel combattere un’emergenza che è sanitaria, ma soprattutto umana.
Ad esempio, come scrivono i ricercatori, «i Paesi con popolazioni più anziane dovranno adottare misure di protezione più aggressive per evitare che il numero di casi trattati superi le capacità del sistema sanitario, ponendo un’attenzione speciale ai gruppi più a rischio e alle modalità di contatto tra le generazioni». Un esempio su tutti: la chiusura delle scuole. Misura corretta, ma se questo poi spinge a portare dai nonni i figli dei genitori che lavorano, il provvedimento può diventare controproducente, considerato che i piccoli possono essere veicoli asintomatici del virus, cioè lo trasmettono senza ammalarsi. Per questo è positivo che nel decreto economico il governo abbia introdotto congedi speciali per i genitori e voucher per le baby sitter, evitando in questa fase comportamenti che possono rivelarsi sbagliati.
Altro tema molto delicato è quello della “generazione sandwich”, gli adulti che devono occuparsi dei figli minori e anche dei genitori anziani con problemi di salute: se a queste persone non viene data una sufficiente copertura economica per poter attuare quel distanziamento sociale necessario, anche al lavoro, evitando ad esempio i contatti professionali fuori dall’ambito familiare di cura, il rischio può essere una moltiplicazione dei contagi. Il coronavirus non sta intaccando solo la nostra salute, ma anche il nostro stile di vita e i nostri legami più importanti. Avere le giuste precauzioni oggi può permetterci di continuare ad essere noi stessi, solidali e generosi, anche domani.