A qualcuno può sembrare paradossale, ma paradossale certamente non è, il fatto che il rapporto Censis sull’andamento delle imprese cooperative rilevi un aumento dell’occupazione in queste realtà (36mila posti in più nei primi nove mesi) e una migliore tenuta rispetto alla crisi. La cooperazione insomma cresce, e cresce soprattutto nell’ambito del sociale, laddove l’impresa 'for profit' si ritira, evidentemente non ritenendo sufficienti i margini di guadagno promessi per l’investimento del capitale.Così il plauso unanime per questo comparto dell’economia che da sempre va controcorrente, per un giorno almeno si sovrappone alle polemiche annose e assordanti di chi in nome di un partigiano concetto di giustizia addita le cooperative come nemiche del libero mercato o come parassitari residui di un mondo che fu. La cosa più sconcertante, tra l’altro, è che molti di questi attacchi giungono da ambienti transalpini che più d’ogni altra area del mondo hanno fruito dei benefici di questo originale modo di concepire l’economia. Molto è probabilmente dovuto alla fredda applicazione di norme senz’anima o forse al semplice fatto di ignorare in Europa cosa sia effettivamente la cooperazione, accontentandosi di stereotipi datati e di epidermici luoghi comuni.Queste logiche il massimo che possano accettare è quello di relegarla ad un ruolo di supplenza (buona cioè solo «dove il mercato fallisce») come se il solo modo naturale di produrre e di ridistribuire risorse sia quello legato al capitale (ancor meglio al capitale finanziario) e al tornaconto individuale. Così cooperative e imprese non profit sono assimilate al rattoppo di un vestito troppo presto sgualcito, in attesa di essere dismesso alla prima occasione. «Meno se ne parla – mi disse una volta il redattore di un blasonato quotidiano – meglio è, perché sono avvisaglie del fallimento del mercato».E dunque la parola 'mercato', di per sé neutra e anche un poco asettica, ha preso le fattezze dell’unico cardine legittimo di un sistema economico evoluto. Forse, più che di 'mercato' (nel quale legittimamente operano imprese individuali, società economiche sia di capitale che di persone) sarebbe allora il caso di parlare di 'egoismo privato' o, addirittura, di 'avidità individuale'. In realtà quello cooperativo è il modo di produrre e di distribuire beni che più di altri esorcizza queste aberrazioni del mercato: è quello che più da vicino si confà alla natura stessa dell’uomo, essere sociale per eccellenza.La cooperazione è il primo modo di fare economia (anzi, oikonomia nel senso etimologico di governo della casa), è il modo migliore di dar vita alla comunità (la vera famiglia allargata) è, in altre parole, il modo naturale attraverso il quale la società si costruisce autonomamente, in modo armonioso, senza che l’azione dell’uno prevarichi su quella dell’altro. La cooperazione economica è il primo federalismo, il modo primordiale di operare 'in rete' coniugando responsabilità del singolo e indispensabilità di struttura. È il primo esempio di democrazia economica, premessa indispensabile di una democrazia politica non solo formale.Proprio per questo gli elementi costitutivi dell’attuale cooperazione si perdono nella notte dei tempi: chi abbia tempo e voglia di osservare con attenzione molte imprese cooperative di oggi potrebbe intravvedere i tratti neppure tanto sfuocati delle antiche agape cristiane, delle prime corporazioni di mestiere, sia delle pratiche mutualistiche che di quelle altruistiche in un continuum ideale (e difficilmente discernibile) con le opere di Carità. Si tratta di granelli di sale e di chicchi di seme capaci di dare sapore e speranza alle drammatiche difficoltà del nostro tempo.