Caro Avvenire,
una breve considerazione circa il commento di Marina Corradi pubblicato domenica 21 maggio, e riguardante anche il giovane Hosni, arrestato per accoltellamento e indagato per terrorismo. Il commento mi sembra improntato a una visione rigidamente determinista; come dire: Hosni, nato e vissuto in ambienti deprivati, non poteva che finire così; mi sembra una posizione che esclude completamente l’aspetto della libertà personale; se si tratta di una privata posizione della giornalista, poco male, ma se fa parte del 'bagaglio culturale' di Avvenire, mi preoccuperei.
Maria Rosa Di Lallo
Caro direttore,
desidero esprimere la mia gratitudine per la pubblicazione della lettera del signor Gianni Balduzzi, martedì scorso. Lo stesso lettore e Marina Corradi esprimono plasticamente la riflessione che con mia moglie facevamo nei giorni scorsi, leggendo le vicende della giovane vita di questo Giuseppe. In particolare due espressioni mi piace sottolineare: «Se solo Hosni fosse stato aiutato ... O magari lo fossero stati il padre e la madre che erano ai margini...» (Balduzzi) e «Lo vedo strano un terrorista islamico convinto e pronto al sacrificio, che chiede aiuto alla nonna» ( Corradi). Ovviamente chi mi dovesse leggere, anche tra tanti buoni cristiani (non dico Salvini) mi considererà un pericoloso alleato degli… invasori islamici. Ancora grazie con viva cordialità.
Gabriele Polizzi
Per chi non avesse letto, parlavamo del giovane che ha accoltellato tre agenti alla Centrale, poi imputato di terrorismo perché aveva dei video inneggianti al Daesh sulla sua pagina Facebook. Youssef-Giuseppe Hosni, 21 anni, figlio di un’italiana e un tunisino, cresciuto alla periferia di Milano con entrambi i genitori che entravano e uscivano dal carcere per maltrattamenti e stupro. Riportato in Tunisia dal padre e tornato in Italia, viene cacciato dalla madre e finisce a dormire per strada e spacciare. Il resto è noto. Abbiamo scritto che nessuno forse in questi 21 anni si è chinato su un ragazzo che ha forse anche problemi psichiatrici, un ragazzo randagio che girava armato di coltelli, ha dichiarato «perché qualcuno vuole farmi del male». Un ragazzo che poi ai giudici ha chiesto della nonna, come un bambino. E sì, signora Di Lallo, ho scritto che nel leggere questa storia ho provato pena per uno, che nessuno ha aiutato mai. Lei si preoccupa: è la mia posizione o quella di 'Avvenire'? È quella di questo giornale, signora. Giornale per cui ho lavorato per quasi trent’anni come inviato, girando l’Italia e il mondo, e constatando fra l’altro che non c’è maltrattamento, abbandono, solitudine che non lasci il suo segno in un figlio. Dunque tutti i figli infelici diventano delinquenti? No, perché certamente siamo liberi; e tuttavia la sfido, signora, nella concretezza di vite vere e non su dotti libri, a verificare quanto dolentemente certi passati segnano e inclinano. Nessun determinismo; però la nostra libertà ha bisogno di qualcuno che la risvegli e la susciti, e per fare questo occorre incontrare uno con lo sguardo buono. Occorre uno che guardi quel ragazzo già allo sbando, con affetto. Come un figlio. Non ha figli lei, signora Di Lallo, non sa quanto conta con loro una parola buona, o invece un silenzio ostile? Occorre che ci si prenda cura e si voglia il bene dei figli, anche di quelli degli altri, per invertire la rotta, come ben sanno tanti lettori, sacerdoti e laici, di questo giornale, che si occupano di educare ragazzi. Occorre ancora più drammaticamente adesso, quando tanti figli di immigrati stranieri vengono su da soli. Grazie al signor Polizzi, che ha dato voce, con molti altri, al sentire, cristiano, di questo giornale. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il giovane che alla Stazione Centrale di Milano ha accoltellato tre agenti di polizia, uno che nessuno ha mai aiutato. Dire questo è determinismo? No, perché la nostra libertà ha sempre bisogno di qualcuno che la risvegli, di uno sguardo buono Le nostre voci