Il punto è come trattiamo chi pensiamo in nostro potere
mercoledì 17 ottobre 2018

Gentile direttore,

da lettrice benché saltuaria e laica di “Avvenire” (che ritengo uno dei pochi giornali con respiro e visione “ampia”), mi permetto di scriverle dopo averla ascoltata la scorsa settimana durante la conduzione della trasmissione “Prima Pagina” su Radio3. Mi ha fatto pensare un accorato intervento di un’ascoltatrice a proposito dell’intollerante violenza esercitata contro Stefano Cucchi, che non posso che condividere (da qualche anno mi occupo di carcerazioni e sempre più mi interrogo sul potere dell’uomo sull’uomo...). Ma c’è una parola che sempre mi inquieta nel nostro modo di parlare, e tocca quello che secondo me è uno dei nodi cruciali. L’ascoltatrice, e tutti noi in genere, parliamo di persone trattate «come animali »... Quattro persone in una stanza che si accaniscono su un ragazzo «come fosse un animale»... Come fosse lecito, invece, che quattro persone si possano accanire «contro un animale»... Naturalmente ho chiaro che non è questo che l’ascoltatrice che ha dialogato con lei intendeva e pensa... Ma l’automatismo con il quale usiamo questa espressione – trattare come un animale – molto svela di noi, della violenza e del rapporto con chi è più debole. Ne sto rileggendo in questi giorni: «Già Pitagora sosteneva che l’uccisione degli animali fosse da vietare per tener lontano la ferocia dall’animo umano... che Erasmo ha delineato il processo psichico e storico che ha portato gli uomini dalla primitiva caccia agli animali alle sanguinose guerre dell’oggi...». Insomma, il nodo, sono sempre più convinta, è tutto lì: nel modo in cui trattiamo chi pensiamo sia in nostro potere... Tutto qui. La ringrazio.

Francesca de Carolis

Credo che lei, gentile signora, metta il dito in una ferita aperta: «Il modo in cui trattiamo chi pensiamo che sia in nostro potere»… «Uomini e no…», come ha idealmente intitolato la lettera che mi ha inviato. Ha ragione, qui è il punto. Da sempre, e non di meno oggi nel tempo civile eppure ancora e sempre feroce che è il nostro tempo assediato di tentazioni “contro la vita”. Dagli ospedali o dai laboratori dove si arriva a manipolare, sezionare, selezionare ed eliminare i viventi alle arene dei combattimenti tra animali e animali e uomini, dalle aule parlamentari alle carceri, dai recinti (ormai digitali) delle Borse ai campi di battaglia che oggi coincidono inesorabilmente con i luoghi abitati... E in questo tempo tentato così vertiginosamente da un potere che pretende di organizzare il post-umano, e impara a farlo inclinando al disumano, non c’è vero progresso né riconoscimento del dono che sono « tucte le tue creature », come cantava, e continua a cantare, Francesco d’Assisi nella sua Lauda a Dio. Cominciamo a cambiare il linguaggio – mi pare lei suggerisca – e cambieremo il pensiero che, come per inerzia, precede le parole e gli atti che ne conseguono. È così, ed è una parte essenziale del necessario e impegnativo cammino che ci sta davanti e che mi ostino a pensare con fiducia e persino con allegria. La saluto e, a mia volta, la ringrazio.

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