Nella voragine di un palazzo in costruzione a Valencia sono finiti auto, tir, mobili e i soccorritori cercano anche corpi - Ansa
Le città mediterranee come Valencia sono sempre più a rischio di inondazioni improvvise. L’aumento della temperatura dei mari aggiunge umidità atmosferica e intensifica tempeste e ondate di calore, prolungate siccità compromettono la capacità di assorbimento dei suoli e paesaggi intensamente urbanizzati hanno da tempo compromesso aree di tracimazione naturale dei fiumi. E l’equivalente di un anno di piogge che cade su un territorio in poche ore produce la catastrofe che è sotto i nostri occhi. Di questa malattia che è la crisi climatica con i suoi impatti spiazzanti e sempre più frequenti nelle nostre vite, sappiamo ormai praticamente tutto: gli scienziati hanno da tempo spiegato anche al grande pubblico le cause, i dati, i dettagli, persino i possibili rimedi. L’emergenza suscitata dal clima e dal malessere del nostro pianeta sta generando uno sforzo di conoscenza senza precedenti, che sta mobilitando le scienze e i saperi, le università e le agenzie che producono dati. Questo mare di informazioni ci consente oggi di muoverci su un duplice livello; siamo in grado di osservare il cambiamento climatico a scala sovralocale, monitorando i grandi mutamenti che attraversano il pianeta e cogliendo le relazioni tra fenomeni lontani, ma siamo anche in grado di valutare l’impatto della crisi alla microscala, prestando attenzione a come gli ecosistemi urbani reagiscono e si adattano (o non si adattano). La crisi climatica sollecita la politica locale, richiede contesti capaci di interpretare i dati e trasformarli in azioni locali, di dotarsi di sistemi di allerta precoce e di migliorare gli avvisi di rischio alle comunità. Quante vite si sarebbero potute salvare a Valencia se l’allarme fosse arrivato in maniera corretta alle persone?
La gestione del rischio deve entrare nella quotidianità delle amministrazioni locali. Ma vorrei dire di più: ogni pratica di pianificazione del territorio, di gestione e di governo, ogni normativa e ogni regolamento, ogni politica locale deve misurarsi con la questione climatica. Non possiamo definire criteri di densificazione edilizia senza fare i conti con la mappa delle isole urbane di calore. Non possiamo trascurare le aree verdi e naturali, le risorse idriche, il valore dei suoli se abbiamo compreso che l’unico rimedio e contrasto all’aumento delle temperature e ai rischi idraulici dipende da un corretto uso della natura.
Nel mio lavoro di ricerca e di accompagnamento urbanistico alle amministrazioni locali mi sono convinta che dotarsi di un Piano locale per il Clima sia oggi il modo più intelligente di trasformare un’emergenza in una possibilità di miglioramento della vita dei cittadini. Se non partiamo dal clima, dalla sicurezza dei cittadini rispetto ai rischi crescenti, come possiamo disegnare correttamente le altre politiche pubbliche?
Il Piano Clima dovrebbe diventare il piano che viene prima di tutti gli altri piani. Ogni scelta pubblica dovrebbe passare sotto la lente del cambiamento climatico. Se interpretato correttamente, come momento di condivisione delle informazioni, di elaborazione di strategie locali, di scelte e di azioni pubbliche e private, di educazione dei cittadini al rischio, il Piano Clima potrebbe diventare lo strumento che precede e informa tutta la pianificazione ordinaria (dal Piano di governo del territorio, al piano del verde, della mobilità, del commercio, ecc.), orienta le scelte di sviluppo e tutela l’ambiente naturale.
Il Piano Clima è un piano, ma non è (solo) un piano: è il luogo delle scelte e delle priorità in campo ambientale, è un programma che contiene dati, informazioni, carte del rischio; ma è anche uno strumento di informazione e di sensibilizzazione delle comunità.
Adattare i sistemi urbani al rischio, creare zone cuscinetto, contrastare le isole di calore nelle città si può fare solo se adottiamo una “logica vegetale” – è questo lo spirito delle cosiddette nature-based solution – alberi, verde pensile, aiuole, parchi, stagni o laghi, ma anche strade sterrate, sabbia e altre superfici permeabili in grado di assorbire velocemente l’acqua, aiutano a contrastare gli effetti della crisi climatica sulle città. Oggi paghiamo il conto di un’urbanizzazione intensa e spesso incapace di rispettare l’alveo dei fiumi e la preesistenza di elementi naturali, dovremo rivalutare le zone alluvionali, aggiornare i sistemi di drenaggio, integrare i bacini di ritenzione per assorbire il deflusso.
Il Piano Clima è infine un piano che diventa un piano solo se tutti partecipano. Non può restare un piano sulla carta. L’adattamento alla crisi climatica richiede un grande sforzo corale che coinvolga la politica ma anche l’economia e la società civile. La crisi non può più essere delegata solo agli esperti e ai summit internazionali ma sollecita una mobilitazione collettiva, di cittadini e imprese, università e centri di ricerca, banche, associazioni ambientaliste e di volontariato. La risposta alla crisi climatica richiede un grande sforzo corale che coinvolga tutti i cittadini. Le immagini di Valencia risveglino negli amministratori una domanda: cosa possiamo fare domani mattina?