perché su molte testate giornalistiche e in molte tv si parla delle gesta attribuite alla madre di Loris come omicidio con 'cinismo'?
Ma non si fa prima a dire che dietro a questo brutta storia c’è realmente tanto male? I giornalisti, forse, hanno paura di scrivere la parola 'male'?
Valentino Castriota, Trepuzzi (Le)
Caro direttore, da credente penso che il cuore umano è un abisso che solo il Signore può scandagliare, e allora le chiedo: che cosa porta uomini e donne, credenti anche di fedi diverse o non credenti, a fare trasmissioni, articoli e quanto altro si può su un caso come quello di Loris e sua madre? Non dovrebbe esserci una etica della sobrietà di parole, immagini, pensieri? Non è solo il silenzio la parola giusta, comunque staranno le cose? Lo dico per i giornalisti che si difenderanno col 'diritto di cronaca' (ma c’è modo e modo di farla) e anche per ogni uomo e donna che, guardandosi dentro, potrebbero sentire che certa curiosità è davvero malsana.
Giuliana Babini, Spello (Pg)
Bene e male, buona e cattiva cronaca. Non mi piace giudicare il lavoro altrui, anche se 'valutare' – da cronista e, da qualche anno, da direttore di giornale – è parte importante del mio mestiere.
Tuttavia non mi va di far cadere le questioni che la signora Babini e il signor Castriota sollevano con intelligenza e passione. Cercherò di rispondere nel modo più diretto.
Le malvagità sono malvagità. E davvero non saprei dire perché, in certe occasioni, costi tanto dirlo senza giri di parole. Il male non è sempre semplice da vedere e da capire, ma a volte è talmente ostentato e feroce che scrutarlo e denunciarlo, chiamandolo per nome, dovrebbe essere naturale. Non succede. Ne prendo atto anch’io, gentile signor Castriota. Può darsi,
come lei dice, che qualche giornalista abbia paura di riconoscere il 'male' in azione, ma penso che pesi maggiormente il fatto che tra i miei colleghi tanti non credono più che ci sono il bene e il male, anche se ci sbattono letteralmente contro ogni giorno. Non ci credono o, comunque, giudicano che non valga necessariamente la pena di dirlo (tanto più che dirlo, a volte, è proprio scomodo). Su queste pagine, invece, proviamo a scrivere ciò che va scritto. Senza morbosità, senza furori, ma con partecipe chiarezza e tutta la necessaria carità.
Anche la cronaca è cronaca. E in diversi casi, cara signora Babini, la stringatezza è fuori luogo. Può infatti diventare sconcertante, fuorviante, tagliente, persino cattiva. Bisogna però intendersi su che cosa nel 'fare cronaca' è davvero essenziale. Ciò che per la sua gravità non può e non deve essere taciuto, è spesso opportuno che venga spiegato, contestualizzato, in certi passaggi
commentato. Concordo però totalmente con lei sul fatto che la «curiosità malsana» nulla dovrebbe avere a che vedere con una informazione a regola d’arte. Succede assai poco, però, che quel brutto tipo di curiosità venga tenuta a bada e non si giochi, anzi, ad eccitarla. Ne sono sgomento anch’io, sebbene capisca ragioni, reazioni e tic tipici del mio ambiente. La scusa, di solito, è che 'questo vuole la gente' (in genere, lo si dice agitando dati di vendita o percentuali auditel). Non mi stanco di ribattere che la gente è molto meglio di come la dipingiamo e di dove la spingiamo, perché siamo noi – quelli dei giornali di carta e digitali, della tv e della radio – a spingerla, appunto, a somigliare alla parte peggiore di sé. Non tutti, non comunque, non sempre lo fanno. Certo, non su queste pagine. Ma sarà sempre troppo tardi quando la mia categoria farà cadere definitivamente quell’alibi triste, e falso.