Alessandro Crisafulli, Palermo
Caro Crisafulli, certo che Wikipedia è quello che è (la voce sul Grinzane Cavour, con ogni evidenza, è compilata sulla base dei resoconti giornalistici relativi allo scandalo di queste settimane). Però il problema rimane, e non riguarda tanto il passato del premio, quanto il suo futuro. Con tutto quello che sta emergendo attorno alla disinvolta gestione economica – e non solo – di Giuliano Soria, interrogarsi sulle origini del Grinzane Cavour potrebbe sembrare un’attività forse non oziosa, ma di sicuro non così urgente. Ma come, qui si parla di milioni andati in fumo e noi stiamo a perdere tempo con il test di paternità? In realtà, la 'versione ufficiale' da lei richiamata è purtroppo indicativa dello stesso andazzo che ha seriamente compromesso il profilo e le attività di un riconoscimento non privo di lustro, anche a livello internazionale. Nel 1982, al momento della nascita del premio, il trentunenne Soria non è affatto l’ideatore, ma semplicemente il segretario generale del Grinzane Cavour. Incarico impegnativo, non si discute, che negli anni successivi il medesimo Soria ha saputo capitalizzare in modo da costruirsi quell’immagine di patron inappellabile che ieri era la sua forza e oggi rischia di essere la sua condanna. L’intuizione del premio (basta chiedere a chi c’era, per averne conferma) si deve invece a don Francesco Meotto, direttore editoriale della Sei, un salesiano a tutto tondo: curioso della contemporaneità e incrollabile nel discernimento. Non dimentichiamo, tra l’altro, che la Sei era una casa editrice stimata anche dal mondo laico. Reduce dal formidabile successo ottenuto da Vittorio Messori con 'Ipotesi su Gesù', aveva messo in gioco quel patrimonio di autorevolezza con la collana 'La quinta stagione', grazie alla quale si sono affacciati nel nostro Paese autori come Ismail Kadaré. Era un premio cattolico, il Grinzane Cavour delle origini? Sì che lo era, perché 'cattolico' significa universale, dialogante, attento all’umano. La trasformazione sopravvenuta nel corso degli anni, al netto delle complicazioni giudiziarie, non è altro che la rappresentazione plastica di come, in Italia e altrove, la 'cultura' si sia trasformata in una fortezza laicista e niente affatto propensa all’ascolto delle ragioni degli altri, a dispetto di qualsiasi proclama sui valori progressisti del rispetto e della tolleranza. Se così non fosse, l’ineffabile Piergiorgio Odifreddi non se ne sarebbe uscito con la mirabolante ipotesi (tutt’altro che 'more geometrico demonstrata') di un complotto clericale ai danni dell’operazione di salvataggio che lui stesso, il matematico ubiquo, aveva intrapreso sulle spoglie dell’ormai pericolante Grinzane Cavour. Ma anche Odifreddi, si sa, va preso per quello che è.
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