Caro direttore,
Atlantismo ed Europeismo non sono la stessa cosa. L’ho detto anch’io più volte in questi mesi, subendo per questo attacchi e accuse di putinismo, lo ribadisco anche oggi. Se vogliamo costruire un futuro per l’Europa, quello sta nella sua autonomia. Per questo considero interessanti, nonostante la distanza politica, le dichiarazioni del presidente francese Macron alla stampa internazionale, durante il viaggio di ritorno dalla sua visita a Pechino. L’intervista ha destato un certo scandalo e ha aperto un primo accenno di dibattito. È bastato dire che l’Europa deve coltivare una sua autonomia strategica e politica e che non deve diventare vassallo degli Usa per scatenare polemiche. In un mondo in cui ancora una volta le grandi potenze affidano ai conflitti le dinamiche delle relazioni internazionali, un’Europa capace di sganciarsi da quei conflitti e di offrire un’alternativa concreta per un mondo multipolare, può costituire persino una assicurazione di pace duratura.
Attenzione, il ruolo di pace e mediazione dell’Europa assume un valore ancor più determinante, in un momento storico in cui pare che le guerre possano andare oltre la dimensione “regionale”, cui eravamo abituati, e in cui il rischio di un conflitto globale e nucleare assume ogni giorno di più concretezza. Di fronte alla guerra che ritorna nel cuore del Vecchio Continente, e con altri possibili conflitti pronti a divampare in diverse parti del pianeta, alle classi dirigenti dei Paesi europei è richiesto un salto di qualità, perché l’Europa sia capace di costruire due cose fondamentali: innanzitutto una via di uscita diplomatica dal conflitto in armi, per provare a porre fine a quella che papa Francesco ha definito la “terza guerra mondiale a pezzi”; in secondo luogo un’integrazione che metta assieme una politica estera comune e una politica della difesa, e soprattutto politiche orientate alla tutela dell’ambiente, del lavoro e dei servizi pubblici essenziali dei cittadini europei.
L’Europa può e deve essere, inoltre, l’organizzazione politica che salva il pianeta dalle logiche mortali del mercato trionfante. Per farla breve, dinamiche di guerra e capitalismo, dal nostro punto di vista, sono fortemente intrecciate. Esiste quindi un ruolo per l’Europa, non solo se è autonomo, ma anche se rilancia un modello economico e di relazioni fra Stati centrato sulla solidarietà, sulla giustizia sociale e ambientale. Di questo, ovviamente non c’è traccia nelle riflessioni di Macron, che invece propone un modello diverso. Ma la politica in Italia sembra non essersi accorta di questo dibattito. Non hanno parlato dell’intervista di Macron gli esponenti di governo e della maggioranza, ma neanche le forze di opposizione; nemmeno quelle che con il Presidente francese condividono l’appartenenza alla stessa famiglia europea. Perché questa mancanza di coraggio? Si tratta di provincialismo della politica italiana, o di a interessi politici ed economici diversi da quelli dell’Europa? Abbiamo di fronte a noi una sfida che vale un’epoca: fare l’Europa unita per davvero, completare la rivoluzione sognata da Spinelli, annunciata più volte e mai realizzata. Vale ovviamente per chi ci crede, per chi non ha smesso di battersi per il sogno di pace che l’Europa ha costituito con le sue Costituzioni nate dalla seconda guerra mondiale, cui l’Italia ha dato il contributo più rilevante. Noi non abbiamo mai smesso di crederci e sarebbe tempo che questo dibattito trovi spazio nel nostro Paese.
Deputato e segretario politico di Sinistra Italiana