Guido Bossa, gran collega giornalista, rilegge il lucido e incisivo lavoro di Salvatore Mazza negli anni di lotta con la Sla. E dice del nostro mestiere verità che condivido profondamente
Caro direttore,
in questi giorni in cui, come ha detto padre Federico Lombardi, abbiamo accompagnato Salvatore Mazza alla Casa del Padre vorrei condividere con te una riflessione suggerita dalla frequente lettura dei suoi articoli, delle sue testimonianze di questi anni. Sono rimasto colpito dalla capacità, veramente eccezionale, che Salvatore aveva, di mantenere lucidità, profondità di analisi e chiarezza di ragionamenti, nonostante il progredire della malattia, la Sla, che pure descriveva con scrupolo diagnostico. Per dirla sinteticamente, ne ho ricavato una lezione che riscatta la nostra professione dal degrado in cui è precipitata nel corso degli anni, e che solo una certa accomodante pigrizia attribuisce a forze estranee e per lo più impalpabili come i cosiddetti “poteri forti”, economici o politici che siano. Un corrivo alibi, una scusa banale per allontanare ogni personale responsabilità sul modo in cui esercitiamo il nostro mestiere, che sempre dichiariamo svolgere al servizio della società o addirittura del bene comune, mentre a volte, non saprei con quanta frequenza, non saprei se per superficialità o sciatteria, risponde a interessi più contingenti se non proprio di parte. In questi anni, Salvatore ci ha insegnato con il suo rigore professionale, con la sua costante testimonianza, come il giornalista resti in ogni circostanza il protagonista della comunicazione: libero, non condizionabile da qualsiasi potere o forza esterna, neppure, come nel suo caso dal progredire inarrestabile della malattia. Man mano che la “bastarda”, come la chiamava anche lui, fiaccava il suo organismo e ottundeva i suoi sensi, la parola, risorsa estrema e irriducibile della comunicazione si faceva in lui più affilata e limpida. All'assopirsi dei sensi corrispondeva lo sviluppo di una più essenziale e coinvolgente forma di comunicazione. Un grande, profondo, insegnamento professionale e deontologico: una lezione di mestiere e di vita di cui essergli grati, e di cui abbiamo estremo bisogno per recuperare il senso della nostra professione. Grazie, Salvatore
Guido Bossa
È molto vero, caro Guido, gran collega, ciò che scrivi abbracciando ancora una volta il lavoro e la vita di Salvatore Mazza. E mi piace concludere in dialogo con te, e pensando a Salvatore, questo intenso e duro 2022, anno segnato da crisi climatica, pandemia e guerra e davvero esigente con la nostra responsabilità di cittadini, la nostra speranza di cristiani, e, non per ultimo, col nostro mestiere di cronisti. Ognuno di noi per essere all’altezza del patto di libertà e di onestà che ci lega ai lettori è tenuto ovunque scriva o usi il microfono e la telecamera a metterci del suo, come tu sottolinei, «senza cercare alibi». Ma c’è uno “stile Avvenire”, che anche tu hai incarnato e che Salvatore ha interpretato sino alla fine in modo essenziale e capace di colpire chiunque, lettore abituale o no, scoprisse i suoi articoli dal “fronte della Sla”. Io mi sento specialmente impegnato, nella mia attuale responsabilità, a custodirlo. A tutti gli amici e a tutte le amiche che anche nell’anno che oggi si conclude hanno apprezzato modi e contenuti dell’informazione che offriamo e a coloro che ci hanno incontrato (o ritrovato) e hanno cominciato (o ricominciato) a frequentare le nostre pagine, dico grazie. E auguro buone letture nel tempo che viene. E una consapevolezza informata e acuta, capace di ispirare e generare tante tenaci, pacifiche e forti buone azioni. Dio sa, quanto ne abbiamo e ne avremo bisogno.