Gentile direttore,
il dibattito sul calo demografico ha evidenziato problemi di ordine non solo economico, ma anche socio-culturale. La scarsa natalità riguarda infatti i Paesi ricchi assai più di quelli poveri (come si potrebbe supporre considerando unicamente le difficoltà materiali). Non sono sociologa né psicologa, desidero solo condividere la mia esperienza personale, che forse coincide con quella di altre donne. Innamorata degli studi e del mio lavoro, avevo una vita molto piena e temevo che la maternità mi avrebbe allontanata dai miei interessi. Vedevo lo stress delle colleghe con figli, sempre di corsa, spesso preda di preoccupazioni e angosce. Mi piaceva viaggiare, sognavo di trascorrere lunghi periodi all’estero, di imparare tante lingue... obiettivi sì possibili, ma più difficili da raggiungere per una madre. La tradizione letteraria confermava le mie paure: in passato, gli intellettuali erano spesso celibi. In una delle lettere in cui rifiuta la proposta di matrimonio di Abelardo, Eloisa afferma che la famiglia non si addice a uno studioso. In un certo senso, aveva ragione. Quando divenni mamma, constatai la fondatezza delle mie paure. Lavoro e maternità sono compatibili solo sulla carta. È vero: nidi, nonni (soprattutto!), baby-sitter aiutano a giostrarsi fra gli impegni, ma... a che prezzo, e non solo in denaro! Andare al lavoro lasciando un bambino con la febbre, strapparlo al sonno per portarlo all’asilo nel gelo mattutino, penare per il protrarsi di una riunione... Per non parlare del senso di colpa per l’impossibilità di occuparsi a tempo pieno della prole. Una volta si diceva che la qualità conta più della quantità: ma come si possono definire “di qualità” le cure di una donna esausta? Eppure, la fatica è stata niente rispetto a quanto ho ricevuto. Senza mia figlia, non avrei mai conosciuto il Bene più prezioso: l’amore. Certo, anche prima volevo bene e amavo, ma ero incapace di farlo in modo assoluto, incondizionato, senza attaccamenti: perché (e questo è miracoloso) l’amore per mia figlia ha acceso in me una fiamma che non arde solo per lei, ma per il mondo. Non immaginavo che esistesse un sentimento così profondo, totale, vitale. La maggior parte delle persone non ha bisogno di diventare genitore per scoprirlo; io, invece, senza quest’esperienza sarei rimasta nel mio cantuccio algido, nel mio egoismo. Non avrei conosciuto l’amor che move il sole e l’altre stelle. Sono grata a mia figlia per avermi insegnato ad amare. A Dio, per aver aperto il mio cuore.
Laura Lorenza Sciolla
Credo, gentile e cara amica, che soltanto l’amore di un uomo che sa esser padre possa avvicinarsi allo speciale, e in realtà inarrivabile, amore di una madre per i suoi figli e per le sue figlie. E, proprio come lei, penso che quest’amore così «incondizionato, profondo, totale, vitale» sia la nostra più profonda somiglianza con Dio. E come seppe dire in maniera semplicemente indimenticabile Giovanni Paolo I, papa Albino Luciani che il prossimo 4 settembre 2022 sarà riconosciuto Beato, Dio «è papà, più ancora è madre». Sì, amore incondizionato, profondo, totale, vitale. Quanto ne abbiamo bisogno nel nostro tempo “denatalizzato”... Perché senza passione non si vive bene, e senza dedizione non si vive davvero. E non c’è dedizione più pura di quella di chi genera, sia in senso biologico sia in senso morale e spirituale, e le tre Persone che mettiamo al centro del presepe natalizio – Gesù Bambino, Maria e Giuseppe – sono la carne stessa di questa verità. La dedizione generativa non è un gioco, contempla anche il tempo della spensieratezza felice, ma significa quotidiane scelte e spesso rinunce, fa sperimentare come l’amore sia fare posto all’altro, agli altri, perché siano pienamente se stessi e noi con loro. Una fatica. E lo sa lei, lo so io, lo sanno tanti e tante che ci stanno leggendo. «Eppure, la fatica è stata niente rispetto a quanto ho ricevuto», lei annota. Proprio così, ne vale la pena, ne vale la pena sempre. E proprio la Nascita che riviviamo in questi giorni ci aiuta a capirlo, se lo vogliamo, se sappiamo vedere e ascoltare, se – come lei, cara Laura – abbiamo la forza e l’umiltà per scoprirlo e riscoprirlo giorno dopo giorno. Quando ci è dato un Figlio, ci è dato il mondo. E mettere al mondo significa cambiarlo, il mondo. A cominciare dal nostro cantuccio. Buon Natale a tutti.