giovedì 14 gennaio 2021
L’Agenda 2030 dell’Onu non ha previsto il coinvolgimento di attori globali come le grandi tradizioni spirituali. Un’esclusione che non è giustificata
Il contributo delle religioni agli obiettivi di sostenibilità
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L’articolo di padre Jaime Tatay S.I. è un estratto di un intervento più ampio pubblicato nel numero 4094 (16 gennaio/6 febbraio 2021) di 'La Civiltà Cattolica'

Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), fissati nel 2015 nell’Agenda 2030, sono il risultato di un lungo processo deliberativo e riflettono un ampio consenso internazionale sulle grandi sfide che l’umanità deve affrontare nel XXI secolo. È chiaro che scienziati, economisti, tecnici, politici, sociologi e persino i militari hanno fin troppi motivi per interessarsi agli OSS: l’inquinamento, l’alterazione dei modelli climatici, la distruzione dell’ozonosfera, il degrado del suolo, l’erosione, l’acidificazione degli oceani, la perdita della biodiversità, l’esaurimento di risorse rinnovabili e non rinnovabili, lo squilibrio dei cicli dell’azoto e del fosforo – per nominare soltanto alcuni dei principali problemi e limiti planetari segnalati dalla comunità scientifica – sono ragioni più che sufficienti per mobilitare tutte le principali componenti attive della società.

La disponibilità di acqua, la protezione nei confronti delle radiazioni ultraviolette, la sicurezza alimentare, la propagazione di malattie, la produttività agricola, la salute pubblica, il rischio finanziario, la stabilità politica, la sicurezza naturale e i flussi migratori sono questioni vitali per il futuro della civiltà. Sembrerebbero scorrelate, ma, quando sono state poste a oggetto di studio delle numerose analisi specialistiche che hanno portato alla formulazione degli OSS, sono state individuate relazioni dirette o indirette tra loro.

Tuttavia, fra gli interlocutori chiamati in causa dall’Agenda 2030 stupisce la sottovalutazione di attori globali assai influenti, come le grandi tradizioni religiose. Per alcuni ciò è ovvio, essendo essi convinti che le religioni non dovrebbero essere coinvolte in un dibattito tecnico ed estraneo alle questioni di fede. Ma per altri, l’esclusione della religione dai dibattiti sullo sviluppo e sulla sostenibilità è ingiustificata, non soltanto per le gravi implicazioni morali di simili questioni, ma anche perché è del tutto evidente che l’interlocutore confessionale non può essere lasciato da parte in un mondo in cui la stragrande maggioranza della popolazione riconduce a una tradizione spirituale la propria visione della realtà, la fonte di senso e la guida etica. Ora, per giustificare l’ingresso delle religioni nel foro interdisciplinare della sostenibilità dobbiamo prima domandarci: quali motivazioni avrebbe il loro interesse per la questione? Che cosa ne legittima l’intervento? E, soprattutto, in che cosa consiste il loro potenziale contributo?

Escludendo ogni vago sincretismo, proponiamo 10 motivi che giustificano il coinvolgimento delle religioni nel discorso socioambientale. Essi offrono chiavi di lettura delle dichiarazioni religiose degli ultimi anni, come pure strategie di trasformazione personale, istituzionale e sociale. Rivelano un costante accordo riguardo alle caratteristiche strutturali dell’esperienza spirituale e a 'tradizioni profonde' condivise tra le diverse confessioni. Queste sono le dimensioni che affronteremo: profetica, ascetica, penitenziale, apocalittica, sacramentale, soteriologica, comunitaria, mistica, sapienziale ed escatologica. Esse attraversano l’esperienza spirituale dell’umanità. L’articolazione di questi 10 elementi – che nomineremo con i termini della tradizione cristiana (questa anticipazione su 'Avvenire' si ferma ai primi due, ndr) – potrebbe consentire di tracciare i contorni di un ethos ambientale interreligioso.

Dimensione "profetica"

L'ingiustizia insita nel degrado della natura è stata la principale porta d’ingresso delle grandi religioni nel dibattito ecologico. Nel caso delle religioni bibliche, la denuncia del degrado sociale connesso con il deterioramento dell’ambiente risuona nella tradizione profetica. Se nel loro tempo i profeti d’Israele levarono la loro voce contro la corruzione delle relazioni sociali, economiche, politiche e religiose, oggi questa denuncia si estende anche alla relazione con il creato e, in maniera indiretta, alla relazione con le future generazioni.

Dopo la rivoluzione tecnologica e l’accelerata globalizzazione economica e culturale degli ultimi decenni, l’ambito della considerazione morale non può più restare confinato al presente e alla nostra piccola comunità locale. L’etica trabocca in maniera irreversibile dai suoi precedenti e limitati confini spaziotemporali. La proliferazione delle armi di distruzione di massa e il pericolo di un olocausto nucleare nella seconda metà del XX secolo ci hanno già mostrato, in tutta la sua crudezza, la radicale novità che l’era tecnologica stava introducendo nell’etica e nella politica convenzionali.

Nell’era dell’ Antropocene – ossia l’era geologica in cui l’essere umano è divenuto la principale forza di trasformazione planetaria –, la denuncia profetica ha un ruolo cruciale. A questa conclusione è giunto, per esempio, l’ebraismo: «Invitiamo coloro che si impegnano per la giustizia sociale a preoccuparsi anche della crisi del clima, e coloro che si preoccupano della crisi del clima ad affrontare la giustizia sociale» (A Rabbinic Letter on the Climate Crisis, 29 ottobre 2015).

Le tradizioni religiose propongono un esercizio di 'duplice ascolto' – della Terra e dei poveri, del momento presente e della storia passata, del contesto locale e delle dinamiche globali, dei segni esterni e delle pulsioni interne –, che è complementare alle mere analisi tecniche. Così afferma Francesco nell’enciclica Laudato si’ (LS): «È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (LS 139).

Dimensione "ascetica"

Accanto all’imprescindibile apporto profetico, l’esperienza spirituale dell’umanità possiede ulteriori risorse di straordinario valore che altri attori non sono in grado di proporre o di sviluppare. Per esempio, le regole ascetiche che contraddistinguono la prassi storica delle grandi tradizioni religiose e filosofiche. Si tratta di pratiche – come il digiuno, l’astinenza, il pellegrinaggio e l’elemosina – orientate a purificare la relazione con Dio e con il prossimo, e nelle quali l’austerità, il distacco e la moderazione sono segni di una vita spirituale integrata. Per combattere il consumismo compulsivo, lo 'scarto' e la cultura dell’'usa e getta', le religioni richiamano alla sobrietà e al controllo di sé: scelte difficili da proporre per la comunità scientifica, il mondo imprenditoriale e la classe politica. Francesco ha sottolineato la questione del consumo eccessivo: «Abbiamo una sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante » (LS 109).

Di fronte a questa situazione, le religioni elaborano un discorso alternativo, in cui risuona una tradizione plurisecolare che elogia la vita sobria, la solidarietà e la rinuncia agli eccessi. La tradizione ascetica contiene un grande potenziale, capace di innescare trasformazioni comunitarie. Il caso della comunità indù è forse il più radicale, dato che giunge a raccomandare la rinuncia al consumo di carne come mezzo per prevenire i cambiamenti climatici: «A livello personale, possiamo ridurre questo stato di sofferenza cominciando a cambiare le nostre abitudini, semplificando le nostre vite e i nostri desideri materiali, e non prendendo nulla più della nostra ragionevole porzione di risorse. Adottare una dieta vegetariana è uno degli atti più incisivi che una persona possa compiere per ridurre l’impatto ambientale».

Troviamo qui uno dei contributi più originali della spiritualità al dibattito contemporaneo sulla sostenibilità, perché le comunità religiose non propongono una mera rinuncia volontaristica, ma invitano a restare aperti alla possibilità di un’esperienza di valore spirituale nell’incontro con la natura.

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