
Emmanuel Macron promette aiuto al collega ucraino Volodymyr Zelensky - Ansa
Non è ancora chiaro se, come e quando l’ombrello nucleare francese proteggerà gli interessi vitali dell’Unione europea, ampliando il perimetro deterrente della force de frappe, dall’esagono alla confederazione europea, come vorrebbe il presidente d’oltralpe, Emmanuel Macron.
Origini e primi test del deterrente nucleare francese
La Francia ha una vocazione quasi innata per l’atomo: furono scienziati d’oltralpe, studiosi pacifici, a scoprire la radioattività naturale dell’uranio, del polonio e del radio. Più tardi, sempre senza finalità militari, Iréne e Frédéric Joliot si concentrarono sulla radioattività artificiale (1934), sperimentarono le reazioni a catena e brevettarono un sistema per ricavarne energia utilizzabile (1939), come ricorda la rivista Politique étrangère. Piani militari e ricerche segrete cominciarono a maturare immediatamente dopo, ma sarebbero passate due decadi prima che Parigi investisse seriamente nelle applicazioni belliche e testasse la sua prima bomba, 15 anni dopo gli Usa, 11 dopo l’Unione sovietica e 7 dopo il Regno Unito. Era il febbraio del 1960 e la Francia, potenza coloniale al tramonto, combatteva la guerra d’Algeria. Nei deserti intorno a Reggane era silenzio. Fu il sito prescelto per testare le Gerboise Bleue, le bombe a fissione che inaugurarono un’era militar-atomica della Francia proseguita nel trentennio frenetico 1966-1996 a Mururoa, in Polinesia, area interessata da 193 esplosioni.
Il nucleare francese oggi
La Francia di oggi non ha più i missili balistici terrestri S-3, Pluton e Hadès. Prima fra le potenze nucleari, ha ratificato i trattati di non proliferazione e d’interdizione completa degli esperimenti nucleari. Ha smantellato il sito di prove a Mururoa, affidando ai simulatori il compito di produrre gli effetti degli esperimenti termonucleari fisici. Continua però i test missilistici, privi di testate reali, e ne concepisce di ammodernati e nuovi. Ha ancora due componenti operative pronte al fuoco nucleare: quella sottomarina, sempre in evoluzione, e quella aerea, ispirata ai criteri della ‘stretta sufficienza’, garanzia di una capacità dissuasiva che, pur ridotta rispetto al passato, è parte della logica aberrante della guerra nucleare. Una logica declinata alla francese, con assetti insieme limitati ma sufficienti a infliggere danni incommensurabili all’avversario, anche in caso di distruzione totale del Paese. Una rappresaglia affidata soprattutto sottomarini nucleari lanciamissili balistici, impiegati da mezzo secolo per proteggere la sovranità nazionale, 24 ore su 24, e ai più vulnerabili aerei dell’aeronautica, pronti al decollo dal 1964, ieri armati con bombe, e oggi equipaggiati con missili nucleari bi-trisonici, con i limiti stabiliti dall’ordinamento giuridico.

Quante testate nucleari e in quali Paesi - WithHub
La dottrina d’oltralpe
Ieri come oggi, la Francia è l’unico membro della Nato estraneo al gruppo di pianificazione nucleare congiunto, a garanzia di una sovranità a 360°, difficilmente condivisibile anche in scenari di deterrenza franco-europea allargata. Fin dal principio, Parigi ha concepito il nucleare come freno all’escalation di un conflitto a bassa intensità e come mezzo per proteggere gli interessi vitali del Paese, un concetto indefinito, ma che, secondo le fonti, dovrebbe includere l’integrità del territorio, della popolazione e delle vie di comunicazione marittime e aeree, tanto nella metropoli, quanto nei dipartimenti e territori d’oltremare. Le dottrine cambiano, si aggiornano ai mutamenti di contesto, ma conservano una sorta di ambiguità intorno al concetto di tolleranza a un’eventuale aggressione, per complicare i calcoli di un avversario: nel caso di attori maggiori, il nucleare punterebbe a prevenire azioni ostili, convenzionali o meno; rispetto a potenze regionali, avrebbe invece come obiettivo dissuadere dall’impiego di armi di distruzione di massa contro i propri interessi vitali. La rappresaglia nucleare, se mai attuata, colpirebbe i centri di potere politico, economico e militare avversi, con danni spropositati rispetto alla posta in gioco. Sebbene la Francia sia piccola per arsenale atomico, le sue 298 testate potrebbero teoricamente uccidere fra i 500 e i 600 milioni di nemici, in un gioco a somma zero per tutti.
Il nucleare britannico: ambizioni e prospettive
Unica fra le potenze nucleari, la Gran Bretagna opera con una sola componente: quella sottomarina, armata di missili Trident che, pur essendo di provenienza statunitense, sono in pieno controllo operativo britannico, in una catena di comando che parte dal Primo ministro e scende fino al comandante di unità. Il premier è infatti l’autorità preposta all’ordine di fuoco nucleare, anche se la dottrina del paese prevede il ricorso alle armi nucleari nell’ambito di una risposta generale della Nato. L’arsenale è inferiore per numero e flessibilità a quello francese: 225 testate, sembra in crescita, 120 delle quali pronte all’impiego sui quattro sommergibili Vanguard, con un carico utile di 16 missili da 8 testate l’uno. Come altre potenze anche il Regno Unito lavora e potenzia le sue capacità: sta sviluppando una nuova testata e una nuova classe di battelli nucleari lanciamissili, accontentandosi per ora di un deterrente minimo. Coopera nuclearmente con la Francia, nell’ambito del trattato Teutates, previsto dal patto bilaterale Lancaster House (2010), ineguagliato da accordi omologhi e foriero di strumenti comuni per garantire la credibilità dei rispettivi deterrenti, a partire dallo sfruttamento congiunto del laboratorio radiografico Epure della Borgogna e del Centro di sviluppo tecnologico comune di Aldermaston. Donald Trump permettendo, la base aerea di Lakenheath potrebbe tornare ad ospitare armi nucleari statunitensi, come negli anni bui della prima guerra fredda. Lo sospetta un recente rapporto della Federazione degli scienziati americani.
La condivisione nucleare in ambito Nato
Piaccia o meno, la Nato è anche un’alleanza nucleare, dotata di armi, dottrina (eminentemente difensiva), meccanismi di pianificazione e procedure operative. Dispone di un gruppo di pianificazione ad hoc, organo di alto livello che si riunisce una volta all’anno, portando intorno a un tavolo i ministri della difesa dell’Alleanza, con l’eccezione francese. Affina pure i muscoli, esercitandoli con le manovre Steadfast Noon, e tramite il meccanismo dei vettori di lancio a doppia chiave è tributaria di un centinaio di bombe statunitensi della serie B-61, schierate in cinque paesi, Italia compresa (Ghedi-Torre e Aviano), oltre che in Belgio, Germania, Olanda e Turchia. Solo gli americani hanno i codici di attivazione e il controllo generale delle testate, ma il paese ospitante e possessore dei cacciabombardieri a doppia capacità può opporsi agli eventuali raid, soprattutto per ragioni di opportunità politica.