Caro direttore,
siamo una coppia ultrasettantenne, lettori da ormai molti anni di Avvenire dal quale abbiamo imparato a leggere, tra le dense righe, i significati e i valori che – lo pensiamo sempre e si colgono – sostengono tutti i vostri sforzi di «buona comunicazione». Con questa premessa, e nella odierna temperie in cui è facile cadere in preda a scenari svuotati di speranza nel futuro e perché «impigliati» nella povera cronaca giornaliera, vogliamo ora raccontare la nostra vicenda che inizia con un atto di attenzione verso la famiglia di nostro figlio che, nel dicembre scorso, si è «arricchita» con l’arrivo del terzo nipotino: continuiamo a credere nel futuro anche lontano!
Nostro figlio, fortunatamente, ha la proprietà di una casa che «conteneva» con amore fino a quattro membri; con l’arrivo del quinto, a noi genitori è bastato un anticipato risveglio, in una felice alba, per decidere; la nostra, grande casa potrebbe contenerli tutti e... dunque, si cambia casa!
Quattro mesi di esodi vari, dormire tra bidoni di vernice, operai nelle due case, «piccoli traslochi» presso increduli parenti, poi traslochi veri... Ora abitiamo come e dove abbiamo desiderato e, soltanto a marzo, abbiamo ultimato gli atti per cambio di utenze e domicilio. Ora, nostro figlio abita nella casa di proprietà di mia moglie e noi viviamo nella casa che è proprietà di nostro figlio: non possediamo altro e sappiamo che non è poco...
E ora, direttore, il finale amaro che stiamo per descrivere fa un po’ vacillare anche le nostre decorose, ma non ricche condizioni: l’Imu irrompe con la logica che ora non vogliamo discutere (ci auguriamo solo che serva a raddrizzare almeno la nave Italia) e che così decreta: affinché un immobile «goda» di tassazione come prima casa, occorre che il proprietario vi risieda. Tradotto per noi significa che entrambi i nuclei familiari verranno tassati come proprietari di seconde case e nostro figlio e nostra nuora, beffa tra le beffe, perderanno anche le detrazioni spettanti alla sostanziosa composizione del loro nucleo.
Caro direttore, se pubblicherà questa nostra, lenisca, con note di speranza, la previsione di altri «tagli lineari» che ci affliggono ormai da tempo! E ci scusi per la scrittura in stampatello perché la nostra vecchia Olivetti – forse partecipando con noi e, più umana degli umani – ha abbassato i tasti in segno di resa! Ci permettiamo un abbraccio e un grazie a lei e ai suoi collaboratori.
Eugenio e Simonetta Ginocchio, Camogli (Ge)
Qualcuno penserà che siamo di fronte a un caso limite di "perversione" degli effetti dell’Imu. E c’è del vero. Ma è ancora più vero, cari signori Ginocchio, che in questa vostra vicenda familiare torna alla ribalta un difetto di fondo della fiscalità del nostro Paese che non ci si decide a risolvere e che inclina addirittura ad aggravarsi: troppo spesso alla famiglia, ai suoi legami e alle sue dinamiche di vita e di gratuita (sottolineo: gratuita) collaborazione tra le generazioni, non viene dato equo rilievo e non viene riconosciuta piena "cittadinanza". Per questa via sbagliata e pericolosa la Costituzione repubblicana (che pieno riconoscimento e sostegno alla famiglia invece li imporrebbe...) rimane lettera morta. Insomma, bisogna decidersi a cambiare registro. E invece di concentrarsi su sempre nuove questioni limite che interessano pochissime persone eppure di volta in volta vengono fatte diventare il problema dei problemi, è necessario decidersi una buona volta a prevenire e risolvere tutti quei presunti casi limite che continuano a rivelare una pervicace e smisurata miopia anti-familiare. Mi chiedete una parola di speranza e una dichiarazione anti-tagli. Il mio potere non è granché, ma la faccio volentieri: smettiamola di tagliarci fuori dal futuro, recuperare equilibrio (anche nei conti) e sobrietà significa tornare all’essenziale. E la solidarietà familiare è essenziale. Ricambio l’abbraccio, con gli auguri più cari a voi tutti: dai nonni all’ultimo nipotino arrivato.