venerdì 26 giugno 2009
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Caro Direttore, se l’ideale matrimoniale si sviluppa con «basso profilo» si impoverisce e, di conseguenza, la relazione si indebolisce. È facile intuire come il centro propulsore della scelta coniugale sia la relazione di coppia, e come tutto ruoti intorno a essa. Una relazione matrimoniale indebolita non è in grado di reggere le tensioni che l’amore fra un uomo e una donna normalmente porta con sé. L’ideale della vita matrimoniale non dovrebbe essere lasciato a livello emotivo e sentimentale, perché il bene della famiglia richiede un impegno di vita in profondità. Il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, cardinale Ennio Antonelli, non esita a parlare di «famiglia sana» e «famiglia malata», e dei loro frutti. Una famiglia sana produce 'beni' che sono i figli, dai quali dipende il futuro della società, una vita soddisfacente per tutti i suoi membri, l’educazione all’amore e alle molteplici virtù umane e sociali, la trasmissione della lingua, del patrimonio culturale della nazione, della fede religiosa. Viceversa alla famiglia malata, incompleta o disgregata sono imputabili danni sociali come il calo delle nascite, l’emarginazione dei più deboli, insicurezza, depressione, litigiosità, devianze, conflittualità. A sostegno di queste tesi si citano interessanti dati statistici emersi nel recente VI Incontro mondiale delle famiglie svoltosi a Città del Messico. Pur essendo riferite a Paesi diversi tra loro – Canada, Stati Uniti, Guatemala, Cile – le percentuali davano indicazioni convergenti sul contributo delle famiglie alla società. Gli studi affermano che, ovunque, la coppia uomo­donna unita in matrimonio stabile e duraturo offre vantaggi sociali maggiori rispetto alle convivenze di fatto e alle madri sole. La coppia sposata comporta per i figli maggiori possibilità di educazione, più assidua frequenza alla scuola, migliore riuscita negli studi e nel lavoro, minore probabilità di delinquenza, minore consumo di sigarette, alcol e droghe. Inoltre comporta meno mortalità infantile, migliore salute fisica ed equilibrio psichico per i figli e per gli stessi genitori, meno depressione per le donne, meno suicidi, maggiori aspettative di vita, produttività lavorativa, reddito economico, numero di proprietari di casa, meno probabilità per donne e bambini di cadere nella povertà, minori costi sociali per lo Stato. Stando a tali ricerche, sembra verificabile che le famiglie sane contribuiscono a creare beni relazionali ed economici, e quindi a promuovere coesione e sviluppo. È dunque interesse pubblico che la famiglia sia fondata sul matrimonio, e sia stabile, perché è un bene tale da immettere nella società la logica dell’amore disinteressato.

Gabriele Soliani, Reggio Emilia

Pubblico questa sua lunga riflessione, caro Soliani, perché ripropone – con lucidità di argomentazioni – una questione che ci sta da sempre a cuore. La famiglia fondata sul matrimonio occupa un ruolo centrale non solo nella Dottrina sociale della Chiesa ma nell’ordine delle cose umane, come del resto ammette un testo intelligentemente « laico » qual è la Costituzione italiana là dove nell’art. 29 recita: « La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio » . La nostra Carta riconosce quindi al nucleo matrimoniale uno status di alta dignità, perché – come indica il termine « naturale » – è qualcosa di pregiuridico, che viene prima dello Stato ed esiste indipendentemente da esso e dalle sue morme. I vantaggi generali derivanti dall’istituzione coniugale sono sempre stati evidenti, e tutte le società sia arcaiche sia premoderne sia moderne hanno sancito e tutelato questo tipo di vincolo. Una tutela che taluno, oggi, vorrebbe ridiscutere in nome di una malintesa « uguaglianza » dei diritti individuali. Sposarsi, procreare, assolvere i propri doveri di padre, di madre, di cittadino implica tanti sacrifici. Lo sapeva bene il filosofo Michel de Montaigne ( 1533­ 92) quando giustamente osservò che « governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno » . Oggi però, formare e gestire una famiglia, crescere dei figli, occuparsi di assistere materialmente il proprio coniuge è divenuto un impegno ancor più gravoso, non adeguatamente « remunerato » – rispetto alle altre forme di libera convivenza – in termini di tutele e di aiuti, soprattutto in materia fiscale. Dalla società e dal mondo cattolico salgono grandi e legittime aspettative, che interpretano istanze diffuse, e che si coagularono intorno a quell’evento epocale che fu il Family Day di Roma. Purtroppo, finora, la risposta della politica non è stata quella dovuta e la famiglia seguita a essere la cenerentola nei programmi di governo e nelle preoccupazioni dei legislatori. Speriamo che tante voci come la sua, convergendo, valgano a un soprassalto di responsabilità.
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