Rosolino Peressini, Udine
Se lei ci legge, può agevolmente comprendere che la sua richiesta da noi non troverà sponde compiacenti. Il nostro no all’eutanasia è totale e inesorabile. La radicalità della nostra opposizione non è però pregiudiziale, frutto di cecità ideologica, ma risultato della convergenza tra la convinzione profonda della dignità insopprimibile dell’uomo in ogni fase della sua vita, e il rilievo compiuto proprio nella vicinanza a quanti vivono il momento estremo della propria esistenza e che, salvo eccezioni rarissime – come abbiamo accuratamente documentato – mai chiedono di essere aiutati a morire, mentre implorano che il dolore sia sedato e di essere circondati di umanità. Lei non è il solo che va per ospedali, non è il solo a cui capitano certe esperienze. E comunque, nonostante la sicurezza che lei esibisce riguardo la dolorosa vicenda di suo cognato, mi permetta di dubitare che le cose siano andate esattamente come descritto: mi pare poco plausibile che un medico e un’infermiera possano aver rischiato tanto, in presenza addirittura di familiari di cui non potevano prevedere la reazione. Se anche uno solo di voi avesse sporto denuncia, ciò avrebbe comportato l’autopsia, con tutto ciò che ne sarebbe seguito (cioè la galera). È una logica elementare che mi induce a dire che, qualora vi fossero interventi deliberatamente volti ad accorciare la vita di un paziente, questi avverrebbero con modalità più subdole di quella da lei descritta. Stiamo attenti, quindi. L’idea secondo cui fare spazio all’eutanasia sarebbe «un vero segnale di civiltà e di realistica umanità» è solo farneticante. Sono convinto che l’esito sarebbe esattamente l’opposto: un’autorizzazione ad abusi crescenti, una devastazione sociale con i più deboli ancora una volta vittime predestinate. È una deriva che va strenuamente combattuta senza lasciare spazio a quanti vedono in essa la via semplice per ridurre i costi della sanità, liberare letti nelle lungo degenze, indurre quelle 2.500 famiglie che assistono pazienti in stato vegetativo a sentirsi zavorre il cui unico riscatto è consentire di liberarsi del loro caro. Se necessario, ci batteremo con determinazione intransigente. Lei fa benissimo a stare con il padre di Eluana, se questo dice la sua coscienza. Io peraltro non sono contro il signor Beppino, semplicemente osservo che nella cultura in cui viviamo non s’era mai visto un padre chiedere con tanta ostinazione la morte di un figlio. Non giudico perché l’abbia fatto, osservo solo che il peso concreto della situazione della figlia non gravava sulle sue spalle, né sulle sue tasche. Cosa dovrebbero dire coloro che sono meno coadiuvati di lui? È tempo di guardarsi negli occhi noi credenti e dircelo chiaro: finiamo con le auto-indulgenze che arrivano alle autoassoluzioni. La saluto.
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