martedì 3 marzo 2009
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Mi dica la verità, direttore: da come distribuisce in pagina le notizie di questi giorni si capisce che lei non crede molto all’indagine giudiziaria in corso a Udine, che coinvolge i medici e gli infermieri che hanno portato a morte Eluana, o mi sbaglio?

Lettera firmata

Non si sbaglia. Ritengo questa indagine importante almeno nella misura in cui altri atti, secondo me dovuti, in precedenza non sono stati neppure avviati. Ma non mi aspetto niente di più. Diciamolo, è un pro-forma: qualcosa che a questo punto non si può evitare, ma che porterà a nulla, e questo – come s’usa dire – «a prescindere». Immagini lei la scena. Questi signori – medici e infermieri – che sfilano uno dopo l’altro attraverso le porte della procura, che ad un certo punto si siedono dinanzi a chi li interroga, che rispondono come si usa fare in questi casi. Ma che, arrivati al dunque, possono all’incirca obiettare con questo ragionamento: «Signor pm, ho fatto quello che voi avete disposto. Non solo, ho fatto quello che voi avete garantito con tanta perizia, preservandolo da qualunque incursione e qualunque intoppo. Cosa vuole ora da me?». Sguardo imbarazzato da entrambe le parti, e via. Sotto un altro. La conclusione è già stata anticipata dal cronista che dall’inizio della vicenda funge da porta parola «occulto»: infatti ha potuto bruciare sui tempi la concorrenza, annunciando l’apertura dell’inchiesta con un giorno di anticipo – lui poteva – ma premurandosi di spargere tranquillità e rassicurazioni: «Forse si tratta di un fascicolo che si apre velocemente e altrettanto velocemente si chiuderà. Una sorta di atto dovuto». Infatti, all’uscita dalla procura questi convocati appaiono tutt’altro che allarmati: anziché giustificarsi, attaccano, senza curarsi troppo dei particolari. Non importa se per ostentare sicurezza schizzano melma sul mondo, suore comprese. D’altra parte, di che cosa dovrebbero preoccuparsi? Sanno già di non rischiare l’incriminazione, se no i giudici dovrebbero per coerenza logica e formale incriminare anzitutto se stessi. Non facciamoci dunque distrarre dai diversivi. Ma concentriamoci piuttosto sull’iter della legge sulla fine della vita, che è in allestimento. È l’unica cosa che oggi si può fare per dare moralmente ragione del sacrificio di Eluana. Questo però non significa che, a commento della fatidica inchiesta, si possa dire ciò che incautamente ha affermato per esempio il ministro Bondi: «È tutto poco civile e per niente cristiano». Domanda: perché, signor ministro, l’inchiesta ora aperta sarebbe poco cristiana? Poteva dire che è sciocca, inutile, dispendiosa, ma perché scomodare un aggettivo tanto impegnativo, da maneggiare sempre con cura? E che cosa c’è, secondo lei, di veramente cristiano in tutta questa storia? La prego, ce lo dica. E precisi, se può, in base a quale catechismo lei ritiene di poter sentenziare questo. Viviamo, ne converrà, tempi strani. Tutti che pontificano. Il senatore Marino ritiene che, essendo stato trent’anni fa uno scout provetto, ciò che oggi sostiene e fa, tra lo sbigottimento pressoché generale, sia per forza di cose un’espressione di cattolicesimo doc. Non ci si accontenta di avanzare le proprie tesi, di sostenerle con impegno e talora forzando magari la logica, no: si deve puntualmente auto­attribuirsi il timbro canonicale. E siccome l’incompetenza è spesso madre dell’arroganza, ecco che lo si fa anche con un tono di protervia degno di miglior causa. Di grazia, perché mai? In nome di che cosa? Di qualche frequentazione o di qualche furtiva pacca sulle spalle? Il mio parlare – ben inteso – vale per uno; una cosa tuttavia vorrei dirla tra fratelli di fede (seppure, credendo che il nostro sia il Dio vero, trattasi di discorso che in un modo o nell’altro tocca tutti). Eluana era in vita e oggi, in seguito a quello che le è stato fatto, non lo è più. La sua forma di vita era la stessa per la quale 2.500 famiglie circa si stanno prodigando notte e giorno attorno al letto di un loro congiunto in stato vegetativo persistente. Tutti dementi? Tutti poveri illusi? Tutti catturati da un simulacro che nulla ha a che fare con la vita? Non bestemmiamo. E almeno non offendiamoli. Lo stesso papà Beppino ha detto e fatto al momento della morte di Eluana ciò che ogni papà compie al congedo estremo di un figlio. Eluana c’era, e oggi non c’è più. Ebbene, non amando le polemiche ad oltranza, si può anche rinunciare alla precisione lessicale, e controllando il vocabolario si può anche dire che Eluana è morta di sentenza anziché uccisa, ma scrivere uccisa non è – onorevole Bindi – inappropriato. Sarà magari scomodo, o inopportuno, o sconveniente, di sicuro è politicamente scorrettissimo, ma inappropriato proprio no. E nel profondo inconfessabile del cuore non c’è nessuno, di questo sono certo, che non sia stato almeno per un istante raggiunto dal dubbio radicale che queste parole includono. Capisco che perfino monaci famosi possano mettere la loro scienza spirituale a servizio delle vostre sicurezze, ma neppure loro taceranno a se stessi fino in fondo la verità. Qui peraltro non stiamo mettendo in discussione le intenzioni segrete e gravide di mistero delle persone, sappiamo di dover sempre distinguere l’atto da chi lo compie – tanto più quando è un atto affollato nel concorso delle responsabilità – e nessuno è autorizzato a scrutare nelle coscienze, tranne il Padreterno. Ma, per quanto parcellizzata, la responsabilità non viene mai nullificata. Ci rincorre sempre. Dunque, non forzando il mistero delle coscienze, sappiamo di «comandamenti» che sono iscritti nella natura dell’uomo. Diceva il professor Melloni, mai tenero nelle sue sentenze sull’agire ecclesiale, che nell’intera vicenda di Eluana è mancato l’annuncio del mistero cristiano. Non so che cosa intendesse dire. Ognuno naturalmente parla per sé. Per me – peccatore – posso dire però che non mi ha mai, neppure per un istante, abbandonato la certezza dei Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso. E che la coscienza di dovermi un giorno presentare dinanzi all’Altissimo mi ha continuamente tormentato. «Cosa ho fatto io per fermare il meccanismo di morte?». Terrorismo psicologico, questo? Non scherziamo, amici. Semplicemente non desidero imbrogliare me stesso. Né imbrogliare voi. Quel giudizio decide della mia pace quaggiù e del mio destino lassù. I conti in casa degli altri non li faccio. Ma non accetto che altri abusino della mia educazione e facciano i conti con troppa disinvoltura a spese mie e a spese delle persone più semplici. Onorevole Bondi, senatore Marino: voi che amate tanto la precisione, per cortesia, astenetevi dal distribuire qualifiche 'cristiane'. Abbiamo già i nostri profeti (cfr Luca 16,29). Grazie.

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