M. Colucci Roma
Se davvero c’è bisogno di un’assicurazione formale, non esito neppure un istante a fornirgliela completa e totale. Ciò che lei sente come esigenza è per noi un impegno editoriale consolidato, che in questi mesi non abbiamo mancato di marcare ulteriormente. Vorrei però provare a correggere l’impressione che ha dato origine alla sua domanda e cioè che vi sia una contraddizione tra difesa strenua di Eluana e interesse, attenzione, tutela per chi è più debole. Tra le due realtà c’è un continuum la cui salvaguardia è nell’interesse proprio delle persone anziane o che si sentono socialmente minacciate. La difesa di Eluana non sottrae – per quanto ci riguarda – disponibilità a guardare in profondità nel mondo del disagio, ma viceversa acuisce lo sguardo e sollecita la sensibilità. Le situazioni estreme – com’è stata quella di Eluana – valgono in sé, per le questioni decisive che portano all’evidenza dell’opinione pubblica, ma come non accorgersi delle ricadute che producono finendo per raggiungere chiunque sia in condizione di debolezza? Se si dà per scontato che lo stato vegetativo renda la vita non degna di essere vissuta, come si potrà impedire che il confine venga un po’ alla volta retrocesso e allargato, provando a tacciare di «vita non degna» quella di anziani affetti da patologie gravi come la demenza senile, o di disabili psichici? Non le sembra di sentire già echeggiare la fatidica domanda: «Che vita è quella?», con l’implicito allegato: «Perché non provvedete a togliere rapidamente il disturbo?». L’unica garanzia che non si arrivi a questo è impedire si stabiliscano regole che commisurano i diritti della persona alla qualità della sua vita e non alla vita e basta, senza specificazioni e qualificazioni. Per questo noi continueremo a batterci sia sul fronte della fine (e dell’inizio) della vita, sia su quello delle difficoltà quotidiane dell’esistenza, con pari attenzione. Un carissimo, affettuoso augurio.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: