Il derby speranza-rabbia ha il suo vincitore. I numeri sono netti: quasi il 41 per cento il Pd di Matteo Renzi, poco più del 21 il Movimento di Beppe Grillo. Il premier spegne le stelle (e i sogni di ribaltone) del comico-politico. Su twitter il #vinciamonoi che era stato il grido di battaglia dei grillini, diventa un amaro e beffardo #vinciamopoi. La vittoria di Renzi è schiacciante: milioni di voti in doppia cifra, come la Dc dei tempi migliori. Il premier divora avversari, ma anche alleati: il Nuovo centro destra di Alfano supera a fatica la soglia del 4 per cento, Monti non si sa nemmeno più dove sia. C'è un quadro nuovo con un Pd forte come mai. E con un centrodestra senza nessun vero punto di riferimento. Fi scende sotto il 17 per cento e Berlusconi è il primo a capire che le prossime ore saranno drammatiche: esploderà il regolamento dei conti interno tra la nuova e la vecchia guardia, si riaprirà prepotente il problema della leadership. L'analisi del voto può essere arricchita dal dato della Lega che recupera con Salvini (anche lui si chiama Matteo) e slogan di nuovo duri e persino sulfurei: supera il 6 per cento e si prepara a incontrare Marine Le Pen per giocare la partita (complicatissima) di una formazione europea di raccordo tra tutte le forze anti-euro che in questa tornata hanno triplicato i consensi.
Tanto di più si capirà poco a poco, i numeri saranno più chiari e le analisi più raffinate. Salta però subito agli occhi la maturità dell'elettorato italiano: siamo quelli - almeno tra i grandi - che hanno votato di più in Europa (il dato finale dell'afflenza è del 58,7 per cento), anche se la percentuale dei non votanti è comunque impressionante. L’elettorato sceglie o non sceglie a ragion veduta, in modo maturo ed esigente. E qui torniamo a Renzi. O meglio alle sue responsabilità e ai doveri che si è visto confermare. Il premier ha la forza per accelerare sulle riforme: quelle economiche e quelle istituzionali. E proprio dietro e dentro questa forza emerge una grande insidia: Renzi potrebbe essere tentato di mettere da parte ogni mediazione. Di dire: il Nuovo Senato va fatto e meline non sono accettabili. Ma anche di aggiungere quella parte di ragionamento che fino ad ora è rimasta solo sussurrata: o mi fate fare, o è meglio tornare a votare. Perchè . Renzi questo pensa. Sa che ora bisogna correre e sa anche di avere la forza per dire no a chi provava (e proverà ancora?) a frenare, anche (e forse soprattutto) nel suo stesso partito. Già perchè c'è un ultimo elemento di valutazione da aggiungere: con un nuovo voto (e oggi si può dire, numeri alla mano, con qualunque legge elettorale) Renzi potrebbe contare un Pd molto suo in un Parlamento molto suo... L'ipotesi voto è un'ipotesi remota. E certe tentazioni inconfessabili di fare il pieno di consensi, sono solo tentazioni. Oggi prevale la responsabilità e l'idea che l'orizzointe del governo possa (e forse debba) essere lungo: c'è un semestre di presidenza Ue alle porte e su questo si innesta l'altra sfida di Renzi: cambiare il passo dell'Europa. Ora è in particolar modo lui (Hollande in Francia è stato travolto dall'ondata anti-euro) a dover tornare a spiegare alla cancelliera Merkel e ai Paesi del Nord Ue, che la linea del "rigore senza se e senza ma" ha fallito e non è più sostenibile. Sarà dura. Ma è un fatto: la voce del capo del governo italiano ha più forza e sarà ascoltata più di prima.