Vito Parcher, Chiusa (Bz)
La sua riflessione è assai dura, caro amico. Per certi versi – e in certe conclusioni – troppo dura e pessimista. La politica infatti non è, e non può ridursi, solo a un palcoscenico popolato dalle «controfigure» di altri e irresponsabili poteri e di (più o meno) dissimulati interessi. Così come il fare impresa non è necessariamente e solo un’attività per cinici e sfruttatori. Ci sono stati, e ci sono, tanti esempi positivi e vediamo ancora oggi concepire e realizzare buoni progetti ispirati ai valori alti e – come ripetiamo sempre, in questo mondo che di tutto vorrebbe fare mercato – «non negoziabili». Sono «imprese» buone (e giustamente redditizie) basate, cioè, sull’assoluto e integrale rispetto per la vita delle persone e, dunque, per la dignità di chi lavora e per l’ambiente in cui la sua fatica si sviluppa, un rispetto che finisce per coincidere con quello per il naturale spazio familiare di uomini e donne, e per l’insopprimibile libertà di ciascuno di pensare e credere, di far crescere e di educare i propri figli.Eppure, gentile lettore, lo spirito che anima la sua accorata protesta non è strampalato. Rifondare e rendere salde e affidabili le regole generali del 'gioco' economico (che mai è puro "gioco") rappresenta uno dei grandi compiti che stanno davanti a chi – come noi cattolici – ambisce a imprimere il marchio della solidarietà sull’era della globalizzazione.La splendida e profonda analisi – per così dire, la direzione di marcia – contenuta nella Caritas in veritate ci è utilissima in questa fatica e nella tenace obiezione alle fragili regole (o, meglio, non-regole) e alla ferrea logica del profitto selvaggio. Anche su Avvenire di oggi ne troverà traccia, in diverse pagine.Quanto al caso risollevato dagli applausi della platea confindustriale all’amministratore delegato di Thyssen Krupp, innanzi tutto vorrei dire quello che ho già scritto molte volte: per principio non giudico mai un uomo prima che il suo giudice naturale si sia espresso definitivamente. E anche dopo faccio fatica. Detto questo, è ovvio che mi sono formato anch’io una motivata opinione sugli eventi culminati nel rogo della linea 5 delle acciaierie torinesi con la terribile morte di sette operai. Beh, posso dirle di essere davvero lieto che il direttore generale di Confindustria ieri, in modo semplice e solenne, abbia chiesto scusa «ai familiari delle vittime e all’opinione pubblica» che quegli applausi avevano colpito e offeso.
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