venerdì 10 luglio 2020
La «Green economy» da perseguire dopo la pandemia. La sostenibilità oggi ha tre dimensioni: ambientale, economica e comunitaria che vanno integrate
Per l’Italia l’ipotesi di garantire 300mila posti da parte dello Stato nella riconversione ambientale e la riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 35 a 30 ore in tutti i settori Il ricercatore D’Alessandro: le innovazioni sociali sono essenziali quanto quelle tecniche per una transizione a basse emissioni

Per l’Italia l’ipotesi di garantire 300mila posti da parte dello Stato nella riconversione ambientale e la riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 35 a 30 ore in tutti i settori Il ricercatore D’Alessandro: le innovazioni sociali sono essenziali quanto quelle tecniche per una transizione a basse emissioni

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Sostegno all'occupazione, investimenti pubblici, welfare di livello, casa e risorse per una vita dignitosa: serve tutto questo per contrastare i cambiamenti climatici. Perché il concetto di ecologia non può più essere slegato da quello di equità sociale, soprattutto alla luce della crisi innescata dalla pandemia. Nascono cosi nuovi modelli economici di sviluppo intesi a migliorare il concetto di green economy: per salvare il futuro dell’uomo sulla Terra bisogna tutelare chi non riesce a sopravvivere nel presente.

Nell'ormai noto “mondo di prima” – quello in cui mascherine, autocertificazioni, lockdown, pandemie erano tutt’al più materiale da blockbuster hollywoodiani – fare la raccolta differenziata era sentita come una priorità sociale. Meno investire nella sanità pubblica o nell’edilizia popolare. Ancora meno fare volontariato. Men che meno disincentivare lo sfruttamento di chi lavora. Vivevamo – in un magnifica dissociazione mentale – la sostenibilità a livello monodimensionale: l’ambiente da preservare come un quadretto, estirpato da ogni (umana) erbaccia. Quando si parla di sviluppo sostenibile, è bene invece ricordare che la sostenibilità ha tre dimensioni: ambientale, economica, sociale. Tanti i paradossi recenti dove la sostenibilità concepita solo in senso ecologico si è scontrata con i diritti di base di molte persone, base della cosiddetta “sostenibilità sociale”. Qualche esempio? Il 70% del minerale usato per le batterie delle auto ecologiche e dei telefoni proviene dalla Repubblica democratica del Congo, dove l’estrazione costa poco perché i diritti dei lavoratori sono inesistenti. Oppure le proteste dei gilet gialli in Francia, nate da una tassa sui carburanti che aveva una motivazione di tutela ambientale ma non considerava le conseguenze sociali sui trasportatori e sui comuni cittadini. O ancora i progetti REDD+, che dovrebbero proteggere le foreste dalla deforestazione producendo “crediti” di carbonio che le società e i governi possono comprare per “compensare” le loro emissioni. Secondo Survival International, più volte i popoli indigeni hanno espresso preoccupazione su questi progetti, che in sostanza mettono il cartellino del prezzo sulle loro terre innescando fenomeni di land grabbing (sottrazione di terra).

Oggi che dalle istituzioni alla stampa internazionale si richiama – e a ragione – la scelta di una rivoluzione verde per la nostra economia, è essenziale ricordare che questo cambiamento radicale deve essere ambientale quanto sociale ed economico. A giugno scorso, l’Onu ha sentenziato: «Il cambiamento climatico potrebbe creare più di 120 milioni di nuovi poveri entro il 2030 e da questo disastro solo i ricchi riusciranno a salvarsi, mentre i più poveri e i Paesi con me- no risorse avranno un margine molto ridotto, se non inesistente, di “risposta” e difesa». A tal proposito, le Nazioni Unite avevano coniato l’espressione “apartheid climatico”, che sintetizza appunto come società, ambiente e sistema economico siano da concepire in maniera olistica. Insomma, la green economy è la soluzione per il nostro futuro ma deve essere integrata da politiche di sostegno sociale. Queste sono anche le conclusioni di uno studio recente pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Sustainability” da un team di ricercatori dell’Università di Pisa e del centro studi svedese Cogito.

«La crescita verde, cioè una combinazione di progresso tecnologico e di misure pensate per favorire l’efficienza energetica – spiega Simone D’Alessandro, uno dei curatori, intervistato da 'Avvenire' – rimane la strategia principale sostenuta dai governi e dalle istituzioni internazionali per affrontare la crisi ecologica contemporanea. Ma il successo ambientale di queste politiche dipende dal loro fallimento nel favorire la crescita economica: un fenomeno che abbiamo chiamato appunto il “paradosso della crescita verde”». D’Alessandro spiega come politiche green più sociali renderebbero anche il nostro Paese migliore. Un’Italia “verde” e con una distribuzione della ricchezza a livello sociale alla Svezia? Si può ottenere, se il programma di green economy recentemente inaugurato dall’Unione europea ( European Green Deal) verrà integrato da politiche nazionali sul lavoro. Secondo i ricercatori, per raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi (contenere la temperatura globale entro 1,5 gradi prima del 2100) in Paesi come Italia o Francia queste politiche europee non bastano. Non solo: la loro applicazione così come prevista creerà squilibri sociali e conseguenti proteste. Perché le misure europee sono solo incentivi di mercato (es. carbon tax) o disincentivi ad alcune produzioni industriali (es. filiera legata al diesel) senza pensare alla riconversione occupazionale. Ad ulteriore conferma che quando si parla di sviluppo sostenibile, ambiente e società sono concetti connessi.

Lo studio in questione presenta anche una soluzione per integrare le politiche green europee con misure sociali idonee. Ecco quella pensata per l’Italia: i ricercatori stimano 300mila job guarantee assicurati ogni anno (una misura per cui lo Stato promette di assumere lavoratori disoccupati come datore di lavoro di ultima istanza) e la riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 35 a 30 ore in tutti i settori, a livello trasversale. Nulla di semplice, ma neanche impossibile. In questo modo, l’Italia centrerebbe l’80% dei parametri previsti nel 2050 per il contenimento delle emissioni di CO2 secondo gli Accordi di Parigi e ridurrebbe il coefficiente di Gini (che misura le disparità sociali) fino a raggiungere un tasso simile a quello della Svezia: il tutto senza incidere sulla crescita del Pil. Come afferma D’Alessandro, non bastano quindi pannelli solari o raccolta differenziata per contenere i cambiamenti climatici: «Il nostro studio mostra come le innovazioni sociali siano essenziali quanto quelle tecniche per una transizione dell’economia a basse emissioni di carbonio».

Le conclusioni degli economisti dell’Università di Pisa si accordano all’opinione di Exctinction Rebellion. Il gruppo, sentito da 'Avvenire', afferma: «Quando la green economy è semplicemente una pennellata di verde sulla logica del profitto, una delle principali cause del disastro ecologico, non produce nessun avanzamento significativo nella soluzione del problema del deterioramento ecologico del nostro pianeta. Questa crisi dimostra che è possibile agire rapidamente ed efficacemente su fattori decisivi della situazione ecologica e che serve un riorientamento generale delle attività umane in senso ecologico, di protezione del bene comune e di difesa del diritto a una vita degna in un ambiente sano per tutti gli esseri umani». L’opinione degli attivisti si sposa ai principi di un altro modello di green economy basato sulla sostenibilità sociale. Marieke van Doorninck, vicesindaco di Amsterdam, ha annunciato ad aprile che la ripartenza della città dei fiori nel post Covid19 avrà «il marchio di una ciambella». La città olandese adotterà un modello economico, creato dall’economista dell’Università di Oxford Kate Raworth, rappresentato dalla forma di una ciambella, incastrata tra due anelli. Come funziona? L’anello interno stabilisce il minimo necessario per condurre una vita degna: cibo, acqua, alloggi, servizi. Quello esterno ha come obiettivo la tutela dell’ambiente e indica una serie di confini che ogni cittadino di Amsterdam non deve superare per non danneggiare il clima e la biodiversità. L’obiettivo della giunta della città olandese è adottare una serie di misure e di servizi per spingere tutti i concittadini a vivere il più possibile all’interno dei due anelli: dentro la ciambella. Così tutti avrebbero le risorse di base per vivere e l’ecosistema sarebbe tutelato. E una società più equa diverrebbe anche una società più sicura per tutti.

Sembrano modelli utopistici, irrealizzabili. Forse, nel mondo di prima, era davvero così. Ma il Coronavirus ci ha insegnato che la resilienza è figlia della necessità. Prima chi avrebbe mai immaginato di rimanere recluso a casa, con mascherina e guanti, mentre la primavera ci fioriva attorno? Abbiamo imparato a cambiare radicalmente, per salvarci la vita come individui e società. E lo abbiamo fatto nello spazio di settimane. Basta ricordare questa lezione nell’attuale ricostruzione del nostro nuovo mondo. Tenendo a mente che è inutile proteggere l’ambiente se non siamo prima in grado di proteggere noi stessi.

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