Due rosari diversi e una comune buona fede
venerdì 26 ottobre 2018

Caro direttore,
sabato pomeriggio, a bordo di un autobus che attraversa un quartiere di periferia di Milano sale una donna anziana, accompagnata da una più giovane - forse la figlia. Una mamma, che indossa il velo delle donne musulmane, tiene per mano la sua bambina. Questa guarda con curiosità l’anziana e le chiede: «Cos’è che tieni in mano?». La signora le spiega che è una corona del Rosario e serve per pregare Maria, la madre di Gesù. La mamma interviene: «Sai che anche noi musulmani abbiamo una cosa come questa per pregare Allah». Le donne, dalla più anziana alla piccola, si sorridono, ognuna orgogliosa della sua fede e della sua identità. Questo episodio mi è stato raccontato da mia figlia Elena di 16 anni che, piena di gioia ed emozione, mi dice: «È stato bellissimo!». E io sono qui, a condividere questa gioia con lei e con i lettori di 'Avvenire': non serve brandire il rosario per affermare la propria identità cristiana, basta pregarlo per incontrare gli altri attraverso la tenerezza materna di Maria.

Rosanna Ghezzi

Sin da bambino, cara signora Ghezzi, ho imparato da mia madre e mio padre esattamente ciò che lei scrive. Il rosario non si brandisce per affermare la propria identità di credenti, lo si prega per incontrare gli altri, e ridare unità alla nostra vita, «attraverso la tenerezza materna di Maria» e al cospetto di Dio. Grazie e grazie a Guido Mocellin che in questa stessa pagina condivide una bella riflessione in piena sintonia con la piccola parabola sulla buona fede e sulla possibile comprensione profonda tra cristiani e musulmani che lei, gentile amica, e sua figlia ci avete regalato. Non c’è nulla da confondere, c’è l’essenziale da aver chiaro.

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