Augusto Angeli, Narni (Tr)
Caro direttore,vorrei rivolgermi per suo tramite a Luca Cordero di Montezemolo. Sono un imprenditore, tale per caso dal 1991. Insieme alla mia famiglia ho costituito un’azienda in Italia e una in Cina, ma non dimentico mai le mie umili origini contadine. La sfida era e rimane avere un’azienda nella comunità e per la comunità. Per il bene comune la mia azienda nasce sotto la filosofia lanciata da Chiara Lubich nel 1991 e denominata "Economia di comunione". Il 27 novembre ho letto l’articolo che Montezemolo ha firmato sul "Sole 24ore" – e che è stato ripreso anche su "Avvenire" – dove illustrava la sua opinione sull’attuale sistema elettorale, nonché sulle forze politiche che ci governano o che si propongono di farlo. Sono assolutamente d’accordo con lui nell’affermare che è necessario cambiare l’attuale sistema di voto, nonché creare una lista civica dei moderati e riformisti costituita da nomi nuovi, nomi che hanno voglia di cambiamento e, come dico io ai miei uomini, "fame". "Fame" di fare gli interessi del nostro Paese e non per se stessi. Oltre a cambiare il sistema elettorale è mia opinione che lo Stato dovrebbe dare anche un chiaro segnale agli imprenditori: premiare tutte le aziende che hanno sempre pagato le tasse e non hanno mai "espatriato" i capitali. Io vorrei suggerire: accanto alla lista civica, una "lista dei buoni" che negli ultimi dieci anni hanno sempre rispettato la legge pagando regolarmente tasse e contributi, riconoscendo loro un bonus pari a una riduzione del 10% delle tasse sui prossimi cinque anni. Ecco, queste due iniziative sicuramente porteranno novità ma soprattutto concretezza di volontà.Luigi Delfi, Lainate
Trovo assai bello il clima che si respira nelle vostre due lettere, gentili amici. Ma soprattutto le trovo entrambe utili, perché sono di una semplice eppure straordinaria eloquenza e aiutano a capire che quando diciamo – e noi di Avvenire più spesso di altri – che i cento e cento modelli negativi che furoreggiano sui mass media non sono affatto tutta la realtà italiana, anzi ne sono la parte meno vera e importante, parliamo a ragione veduta. Siete entrambi imprenditori e cittadini come si deve, qualcuno direbbe "modello". Avete idee chiare su che cosa significhi fare impresa, ed esercitate o meditate opzioni certamente libere sul piano della politica (ma non è questo che, qui, importa). Ciò che, infatti, emerge con più forza dalla vostra esperienza – condensata in poche righe di lettera a un giornale – è la volontà di fare e non solo per voi stessi. Mi colpisce quanto questa vostra volontà di intraprendere si accompagni a un pulito senso dell’umanità e delle regole: siete persone che rischiano, che lavorano e fanno lavorare, che incassano e che pagano con scrupolo contributi e tasse. È un caso che alla radice di tutto questo ci siano valori e motivazioni nutriti dalla fede cattolica? No, non lo è. È l’ennesima dimostrazione che un buon cristiano è un buon cittadino e un buon concittadino. È uno che ha il senso della famiglia e della comunità, cioè sa di non essere solo e di non doversi realizzare (e salvare) da solo. È uno che pensa agli altri non come "limiti" alla propria libertà e alle proprietà di cui dispone, ma come potenziali compagni di strada e di avventura a cui rivolgersi con realismo e rispetto ma soprattutto con positività. È uno, il cristiano, che concepisce la propria azione nello spazio pubblico – quello che, di volta in volta, definiamo sociale, politico e ambientale – come una continuazione partecipe e responsabile dei gesti d’amore del Dio creatore, del Padre della vita. È uno che sa che a Cesare va dato quel che è di Cesare, ma che a Cesare si può e si deve chiedere di essere giusto. Cesare, lo Stato, siamo noi. È diventata una frase fatta e un po’ insulsa, di quelle che non si dicono neanche più, per una sorta di pudore e per un po’ di disgusto. E invece è la verità, e non possiamo rassegnarci all’idea che la politica non meriti l’impegno e la voglia di fare di cittadini con un profondo senso della comunità e delle regole, con un’idea alta del decoro nel servizio che Paolo VI definì la «forma più alta della carità». Io credo, caro signor Angeli e caro signor Delfi, che lettere come le vostre facciano bene a chi le legge. Soprattutto ai giovani. E aiutino a capire la forza e la speranza che c’è in un’Italia che merita più attenzione, più stima e più spazio. (mt)