Caro direttore,
volevo scriverle una lettera indignata per i fatti di Treviso e di Roma. Ma stamani il cuore mi ha preso la tastiera e ha scritto la risonanza e preghiera sul Vangelo che le mando. Mt 12,14-21 «Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là». «I farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: 'Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni'. Gesù, tu non lotti contro chi non ti vuole, ma te ne vai, ti sposti dove ti accolgono. Fai così perché sei solo amore e non spegni il lumicino fumigante né spezzi la canna incrinata, ma cerchi fare in modo che la fiamma ridiventi vigorosa, e la canna recuperi l’incrinatura e ritorni salda. Ma troppo spesso ti rifiutiamo, non ti vogliamo capire e lottiamo contro di te. Così perdona, Signore amato, perdonaci se ieri ti abbiamo cacciato via dalla città di Treviso perché eri negro e spaventato. Perdonaci, tu che puoi, perché ti abbiamo cacciato via da Roma, città che si pretenda santa, perché sei africano o siriano, perché sei donna e bambino, perché sei umano e stai fuggendo la guerra, l’omicidio, la violenza, la barbarie. Ma le hai ritrovate qui da noi, nel fascismo degli imbecilli, nelle legioni di diavoli idioti che ubriacano e sconvolgono le menti di razzisti sicuri dei loro bottini e delle loro rapine. Perdonaci se non sappiamo perdonare chi odia, perché significa che anche noi odiamo. Aiutaci a compiacerci della verità, tutto credendo, tutto ascoltando, tutto accogliendo, tutto salvando. A iniziare da chi viene qui da noi solo per avere, per essere, 'una bella vita'. Aiutaci a darla a loro, perché così - e solo così, Gesù mio, Sposo - la potremo avere anche noi. Amen, amen.
Raffaele Ibba, Cagliari
Caro direttore,
gli avvenimenti che riguardano in questi giorni profughi e migranti mi hanno fatto tornare alla mente un passo del romanzo 'La peste' di Albert Camus. «Il padre Paneloux evocò l’alta figura del vescovo Belzunce durante la peste di Marsiglia.
Ricordò che verso la fine dell’epidemia il vescovo, avendo fatto tutto quello che doveva fare, credendo che non ci fosse più rimedio, si chiuse con dei viveri nella sua casa, che fece murare; gli abitanti della città si adirarono contro di lui, circondarono la casa di cadaveri per infettarla e gettarono dei corpi al disopra dei muri, per farlo perire più sicuramente. Il vescovo aveva creduto d’isolarsi dal mondo della morte, e i morti gli cadevano dal cielo sulla testa; così sarebbe accaduto anche a noi, che ci dovevamo persuadere che non c’è isola nella peste ». L’Europa oggi si sente minacciata dalla 'peste' che affligge gran parte del mondo circostante (guerre, persecuzioni, fanatismo religioso, miseria, fame) e teme di essere invasa da quelli che molti considerano 'appestati' (non solo in senso metaforico: vi è chi parla della scabbia come se si trattasse di peste e chi accosta i migranti ai topi, noti veicoli di trasmissione della stessa peste).
Ma l’Europa non può illudersi di sottrarsi a questi pericoli rinchiudendosi in una fortezza ed erigendo muri e barriere di ogni genere: nessun muro, nessuna chiusura delle frontiere, nessun ricorso alla forza fermerà le migrazioni, perché chi fugge da una morte certa - per guerra o per fame - non ha niente da perdere e non ha paura di nulla. È chiaro anzi che l’egoismo e l’indifferenza verso la disperazione di milioni di persone rischiano di favorire lo sviluppo del terrorismo e del fanatismo antioccidentale. Quei migranti che respingiamo mentre vengono da noi in pace potrebbero tornare domani con ben altri sentimenti. La peste che cerchiamo di fermare con un muro potrebbe presto cadere su noi dal cielo. «Non c’è isola nella peste»: l’Europa si salverà solo se si aprirà alle sofferenze del mondo e se cercherà di rimuovere le cause della 'peste', soccorrendone intanto le vittime e ricordando che di quella peste essa è la prima responsabile (si pensi ai Paesi ridotti in miseria dallo sfruttamento coloniale passato e presente, alle guerre nate dagli interessi economici dell’Occidente, alle devastazioni ambientali provocate dalla nostra fame di materie prime). «Non c’è isola nella peste», e nessuno può salvarsi se non contribuendo alla salvezza di tutti.
Roberto Blanco, Torino
Gentile direttore,le scrivo circa la vicenda degli ultimi episodi di intolleranza verso gli immigrati che stiamo vivendo nella nostra Italia. E di come il 'demone della paura' sia facilmente cavalcabile da chi crede di far politica, ma in realtà si è dimenticato di come la politica stessa sia la «forma più alta di carità». Uno di questi episodi riguarda, purtroppo, il territorio della Diocesi di Crema, la mia Chiesa. Questa settimana una furente protesta dei genitori della scuola diocesana Manziana (la materna delle Ancelle) è scoppiata contro la decisione della Curia di ospitare nello stesso palazzo, ma in una struttura prontamente adeguata e separata dall’ingresso e dai locali della scuola materna, un gruppo di immigrati che la Prefettura ha chiesto di accogliere a Crema. È innegabile che il clima è teso, reso ancor più difficile da certa stampa locale e nazionale che cerca solo di enfatizzare le urla alimentando paure e odio, non servendo la verità come, invece, me lo consenta, da anni efficacemente e umilmente fa 'Avvenire' (che anche in questo caso ha dimostrato una visione ineccepibile del problema). La Caritas era pronta, le verifiche della Asl sull’idoneità del sito hanno portato esito positivo: ecco che la Diocesi ha deciso di accogliere i migranti provenienti dalle zone di guerra. Un gesto che sta nella ragione stessa di esistere della Chiesa. Nella sua ultima lettera il Vescovo di Crema, monsignor Oscar Cantoni, ha richiamato i fedeli all’esigenza di vivere la carità, anche quando questo è scomodo e faticoso, riportando le parole di papa Francesco (il quale è prontamente tacitato o tacciato dai media quando pronuncia frasi scomode che urtano lo strano 'quieto vivere' che domina quest’Europa stanca, fredda, cinica e schiava dei numeri di bilancio): «Nessuno può chiederci di non accogliere e abbracciare la vita dei nostri fratelli, soprattutto di quelli che hanno perso la speranza e il gusto di vivere. Come è bello immaginare le nostre parrocchie, comunità, cappelle, non con le porte chiuse, ma come centri di incontro tra noi e Dio, come luoghi di ospitalità e accoglienza».
Dobbiamo perciò constatare tristemente l’amara reazione dei genitori di una scuola cattolica. Ma dobbiamo anche sottolineare come «certamente nella Chiesa non è valida la teoria che vince chi grida di più», come il vescovo Oscar ha tenuto a dire. Così penso sia di grande insegnamento anche la conclusione a cui arriva monsignor Cantoni annunciando la decisione di ospitare altrove i profughi: «Questa mia scelta è piuttosto un vero atto di umiliazione, che accetto volentieri per difendere e promuovere l’unità della Chiesa (che è il bene più grande!) e così non fomentare ulteriori divisioni, dovendo, però, anche dolorosamente ammettere che molti genitori della Scuola Cattolica sì la frequentano e la usano, ma non utilizzano o comprendono le finalità educative che essa propone, tra cui propri l’accoglienza!». Ecco che vorrei spingermi in un’ultima considerazione. Nel dibattito comune e, purtroppo sempre più superficiale, della politica italiana il problema dell’immigrazione è ormai sulla bocca di tutti i politicanti. Una delle frasi più celebri che si sentono è: 'perché il Papa non se li porta in Vaticano?'. Allora come mai nell’ultimo episodio a Crema, visto che la 'Chiesa se li è portati in casa' viene accusata di farlo per interesse economico e guadagno? Forse regna un po’ di ipocrisia e confusione. Rimane una certezza: il popolo italiano è fatto da gente con un cuore generoso, chi vuole fomentare le paure per interesse personale dovrà in prima persona risponderne.
Marco Cassinotti, Crema
Vi ho letto, cari e gentili e amici, ma soprattutto vi ho ascoltato. Ho ascoltato il vostro cuore «che si è preso la tastiera» e la buona ragione che gli è sempre compagna. E sono contento e grato, nella diversità del timbro, della vostra accogliente e robusta
condivisione dell’essenziale in un tempo in cui c’è chi vorrebbe usare addirittura il Vangelo per salvare solo se stesso e per chiudere la porta in faccia, senza neanche guardare chi bussa, a chi è povero ed è stato reso profugo dalla guerra, dalla persecuzione e dall’ingiustizia e chiede protezione e asilo. In cuore porto ancora il lutto per la straziante morte bambina, consumatasi nel nostro mare, sulla quale ieri, sabato 18 luglio, ho riflettuto in prima pagina. So che il popolo italiano e cristiano di cui sono parte ha soprattutto sentimenti, parole e gesti come quelli, e come questi che voi mi affidate. Che possa essere capovolta e, così, convertita e perdonata la cinica scelta di pochi che sta alla base dell’inaccettabile semina di sospetto e d’odio che avvelena questi nostri giorni e, purtroppo, incattivisce e sfigura il volto tutto intero delle nostre civili comunità.